Il cammino della Speranza è il titolo del mio prossimo libro. Il Laboratorio è il modo come farlo nascere bene, scritto in un buon italiano con una fabula complessa ed una trama che lo rende interessante. Il primo commento (quello più in basso) è la fabula, il secondo è la trama. Seguono alcuni brani del primo e secondo capitolo, scritti inizialmente da me e corretti da altri scrittori o editor professionisti e poi nuovamente da me stesso. Notate dei miglioramenti o dei peggioramenti? Provate a riscriverne un brano, così per esercizio e per confronto, può essere utile a ciascuno di noi!

 

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Renato

09/10/2015 11:10

Dall’articolo “Il cammino della Speranza” cap. 2, di Alfio Giuffrida.

Elaborato e corretto da Renato Bruno, Editor. –

Messaggio all’autore: Le cose che ti ho cambiato le vedi meglio se ti stampi il foglio, ma in generale, come già detto, tu tendi a descrivere le azioni, e trascuri il tono psicologico o le motivazioni profonde che portano a quelle azioni. Dovresti immedesimarti di più e direttamente nell'animo del personaggio che compie le azioni o ha quei pensieri. -

REVISIONE: Cap. 2 – Etienne si prepara ad andare a Santiago – revisione Renato Bruno

Paris c’est toujours Paris! Appena appoggiata la valigia su due sedie, sotto la finestra più ampia, proprio sopra Rue de la Huchette, Monsieur Etienne, con sguardo perplesso, s’era sorpreso a fissarne l’interno ancora vuoto, senza nascondersi un gesto di stizza. Con che cosa riempirla, dal momento che intorno a lui niente lo interessava veramente?
Del resto, di tempo ne era passato da quando quell’incombenza ricadeva nelle mansioni del suo fedele domestico. Sapeva sempre che cosa gli sarebbe stato utile, a seconda della località di arrivo di Monsieur, anche se più di una volta, col bagaglio già pronto e chiuso, il brav’uomo s’era dovuto rassegnare a disfare il tutto, perché il padrone, prima di lasciare casa, s’era affacciato alla finestra per un’ultima occhiata fuori, ma non al cielo bensì in basso, nella via chiassosa, dove il suo occhio di tombeur de femmes era stato lesto a cogliere le invitanti movenze di una elegante figura femminile, pronta a salire su per un drink e una conoscenza più profonda… E così addio partenza!

Etienne ben ricordava il sapore agro-dolce di quelle inattese e brevi avventure, ma adesso…la voglia lo aveva abbandonato e quelle prede di un tempo ora non erano altro che piccoli solchi salati da asciugare sul viso. E pensare che Monsieur Etienne aveva avuto la grande fortuna di abitare proprio ai margini del Quartiere Latino, in un piccolo isolato tra Place Saint Michel e Notre Dame.
Le sue finestre davano su una stradina lunga un centinaio di metri, addossata alla “rive gauche”, a ridosso dei quartieri dove la vita non si ferma mai. Dove le luci variopinte dei negozi di souvenir illuminano a giorno il selciato e il serveur del ristorante greco “Meteora” ogni sera fa a gara con quello della “Taverna Greca” dirimpetto, a suon di piatti rotti per accaparrarsi il maggior numero di passanti infreddoliti.

Da lassù, il profumo della “Pizza rustica” sottostante gareggiava con quello della “Creperie Le Minos”. E poi, poco più giù, per i veri buongustai, c’era Chez Angelo” con la sua formidabile fondue au fromage: duecento grammi di groviera, centocinquanta di emmenthal, un bicchiere di vino bianco, un bicchierino di Kirsch e per intingere una mezza baguette, leggermente tostata e ridotta a pezzetti. Rue de la Huchette, tuttavia, non era per Etienne solo souvenir e ristoranti.
Per un’amante della bella vita come Monsieur, quella strada rappresentava il regno dell’impossibile reso quotidiano.

Perché lì, in quel quartiere, egli era “le Roi”, da tutti conosciuto. Pur essendo da qualche mese scomparso dalla circolazione, i serveurs dei ristoranti sotto casa avevano spesso il naso all’insù, verso quel suo balcone vuoto che faceva loro scuotere la testa. Dentro, però, nei corridoi e nelle stanze dove i suoi passi rimbombavano, Re Etienne passava e ripassava, anche se stanco, davanti alla porta socchiusa della camera di Julien, vi si soffermava per qualche secondo e poi, con lo sguardo a terra, ritornava indietro.
Vi entrava, a volte, ma solo per tirare leggermente in avanti il cassetto della scrivania, lo stesso un tempo destinato al bambino. Come a controllare che fosse effettivamente vuoto, che davvero nulla vi fosse rimasto da quel fatidico giorno, col pensiero fisso a come sarebbe cambiata la sua vita se un giorno, uno dei tanti già trascorsi, aprendolo l’avesse trovato pieno.

Non si sarebbe più trovato lì, in mezzo a quella stanza colma di ricordi, tra quelle stesse stanze che ora, abbandonate a sé stesse, non possedevano più l’eco della viva lussuria degli anni passati. Doveva partire, doveva decidersi, se davvero voleva salutare Dolores, prima che i voti le impedissero, per chissà quanto tempo, qualsiasi contatto con quelli di fuori.
Già, ma come? Che fine avevano fatto l’energia, l’entusiasmo, il desiderio che in precedenza lo avevano fatto correre in lungo e in largo, per anni e per tutti i continenti? Dove s’erano cacciati? Che cosa lo paralizzava lì? Si sentiva stracolmo di ricordi, ma gli era passata la voglia di vivere.
                                                                                         --ooo—

E oggi? Come sarebbe stata oggi la sua vita se quel fatidico giorno di aprile fosse stato in viaggio per chissà dove? Quale corso avrebbe avuto se Evita non avesse più ritrovato quel numero di telefono, chiuso da anni in agendina sbiadita? E se il numero fosse appartenuto a un altro?
Tutto avrebbe potuto allora cambiare le sorti del suo destino. E invece quel giorno il telefono squillò. Era solo sceso al bar, per uno dei suoi soliti incontri d’affari. Lei, Evita, aveva composto il numero e dall’altra parte dell’oceano una voce le aveva risposto: «Hello madame».
Lei aveva chiesto di monsieur Etienne Larousse e il brav’uomo all’altro capo del filo l’aveva subito riconosciuta, nonostante i secoli e le mille vicissitudini ne avessero alterato il timbro e la cadenza. Impacciato, confuso, incerto persino sul suo esitare, s’era inceppato più volte, balbettando solo frasi a metà, seppur nel suo elegante e ricercato francese.
Ma l’altra, dall’altra parte del mondo, aveva perso la familiarità con le bollicine della lingua frizzante, e con grande sforzo, aveva composto, con quel poco che appena ricordava, frasi recanti ancora accenni di maliziosa civetteria, per chiedere all’uomo che le aveva risposto, “se avesse avuto la possibilità di rintracciare Monsieur”, e dirgli che a Julien, suo figlio, era successo una cosa grave e che, “se fosse stato possibile” avrebbe gradito che Monsieur la richiamasse.
Poi gli aveva dettato il numero, scandendo le cifre in un francese che al maggiordomo era risultato più comprensibile, seguito dal nome Evita e dal motivo urgente della telefonata.

Al suo rientro, Gustave gli aveva detto, con il suo solito fare impersonale e riservato: «Madame Evita ... ha cercato di lei, ha lasciato il numero a cui richiamarla». “Evita?”, si disse Etienne, cercando di ricordare se, nei giorni precedenti, avesse per caso dato il suo numero di telefono a qualcuna che portasse quel nome. Non gli era del tutto nuovo, però…. Si soffermo sul prefisso intercontinentale, dell’America del Sud sicuro.
Ma già mentre componeva il numero, si sentì dentro una esplosione di scintille calde e fredde, sensuali e insieme dolorose. Ricordò all’improvviso anni di fuoco seguiti da un interminabile oblio! Laggiù, in effetti, viveva una donna “speciale”. Dopo nemmeno un’ora il telefono di Evita squillò.
Da Parigi, la voce agitata di Etienne le chiese il motivo della chiamata di lei, dopo così tanto tempo, dopo averla lui cercata con insistenza migliaia di volte (bugiardo, perché dopo che lei se n’era andata, egli sì e no l’aveva chiamata due volte e solo per sapere se il figlio era ancora lì da lei), dopo tutte le sue di lui preoccupazioni sulla sorte del figlio e per la salute di lei.
Parlandole cercò di immaginarsela davanti agli occhi: com’era diventata? ancora attraente? maledettamente focosa e sensuale come ai vecchi tempi? O s’era invecchiata anzitempo e della sua travolgente flessuosità ben poco restava? E poi, perché aveva telefonato? Voleva forse qualcosa? Riallacciare la relazione? O ricattarlo, piuttosto, per qualche strana sua pretesa di lui non ancora soddisfatta?

Ma evita non lo stette neanche a sentire e tagliò corto, gli disse che lei stava bene ma che suo figlio era morto. Etienne smise di fantasticare, cominciò a balbettare, si vergognò del suo nascente desiderio di trascorrere con lei altri e caldi momenti di sesso sfrenato, gli parve che le sue gambe s’afflosciassero. Scosse la testa: un’altra delle sue bugie per spillargli altro denaro? Ma lei aggiunse con tono freddo e perentorio: «Ti sto telefonando perché forse non sai che l’unico desiderio di Julien era quello si essere sepolto a Parigi, accanto alla tomba di Jim Morrison».
Allora era vero, era tutto vero, Julien era morto davvero! Una scheggia gli trafisse il cuore. Per interminabili secondi non disse nulla e la stessa voce di Evita gli si fece ovattata, un sussurro appena che gli ripeteva «hello, hello», come un disco incantato.
E mentre quella scheggia lo trapassava da parte a parte, si ricordò di essere padre, di avere dei doveri verso suo figlio, di non essere stato un buon padre, di aver perso troppe occasioni, di non essere riuscito a stargli vicino come avrebbe dovuto. Gli girò forte la testa, si sedette per non cadere. Poi si riprese e disse ad Evita che per il funerale, a Lima, ci sarebbe stato anche lui, e che poi avrebbe pensato a come portare Julien a Parigi.
Dopo aver concluso quella neutrale e fredda e crudele conversazione, riprese in mano la cornetta e chiamò il Direttore artistico del suo teatro parigino, per comunicargli che sarebbe stato via qualche giorno. Poi, prima di afferrare la valigia e trascinarla all’ingresso, avvisò il pilota del suo jet personale di tenersi pronto per un lungo volo con rotta su Lima.

Marco

30/09/2015 09:09

Caro Alfio, il tuo modo di scrivere è troppo lineare, il tuo discorso è scontato, non c’è nessuna ansia di leggere una novità shoccante.
Il brano del romanzo Il cammino della speranza, che hai appena riscritto, io lo farei così: “Paris c’est toujours Paris! Etienne era seduto davanti alla sua valigia vuota, vuota come il suo spirito e la sua mente. Il suo sguardo era assente, rassegnato, disperso nel nulla. Dalla grande finestra della sua casa si intravedeva Rue de la Huchette, un brulicare di gente che fino ad ora era stato il suo modo.
Ma adesso non lo interessava più, gli dava fastidio. Il suo pensiero era fisso nel ricordo del figlio ... . Come è amaro il destino! Come è duro rendersi conto di avere sbagliato! E adesso non c’è più rimedio, il tempo va solo avanti, non torna mai indietro! ....”

Togli le indicazioni dei ristoranti e dei profumi della strada, perchè distolgono dalla descrizione di un uomo distrutto, che vorrebbe tornare indietro nella vita, ma non può.

Alfio

27/09/2015 08:09

Alfio GIUFFRIDA: Il Cammino di Santiago

Ho cercato di seguire i consigli di Oscar e di Massimo, riscrivendo la prima parte del secondo capitolo con più emozioni e meno descrizione dei luoghi. Naturalmente io stesso non sono in grado di apportare correzioni di vasta portata o strutturali. Questo dovrebbe essere compito dell’editor che, con mente fredda e linguaggio professionale, potrebbe tagliare e sostituire intere frasi.

Cap. 2 – Etienne si prepara ad andare a Santiago – revisione num. 1

Paris c’est toujours Paris! Monsieur Etienne aveva appoggiato la sua valigia su due sedie, messe una di fronte all’altra, davanti ad una delle ampie finestre, che davano sulla Rue de la Huchette. L’aveva aperta e la guardava, perplesso, pensando a cosa mettere dentro, ma era ancora vuota. In casa sua, ormai, non c’era nulla che potesse interessarlo.

Era passato ormai molto tempo da quando, a prepararla, era il suo domestico, che sapeva sempre cosa potesse servirgli, a seconda del posto dove andava Monsieur. E qualche volta la valigia era rimasta li, riempita con cura ma inutilizzata, perché il suo padrone, prima di partire, si era affacciato alla finestra del suo grande appartamento, per vedere come era il tempo.
Ma anzicchè guardare il cielo aveva guardato in basso, aveva notato qualche bella ragazza nella chiassosa via e, seguendo il suo istinto più che il suo fascino, l’aveva invitata, con le sue innate capacità di play boy, a salire a casa sua, per prendere un drink e, ... il gioco era fatto e la partenza rimandata.

Etienne aveva ancora bene in mente quelle avventure, ma adesso non ne aveva più voglia, anzi, a quel ricordo, qualche calda lacrima solcava il suo viso. E sì, chi non conosce quel piccolo isolato tra Place Saint Michel a Notre Dame, ai margini del quartiere latino di Parigi? In quella stradina, lunga un centinaio di metri, addossata alla “rive gauche” della Senna, la vita non si ferma mai.
Le luci variopinte dei negozi di souvenir illuminano a giorno il selciato, il serveur del ristorante greco “Meteora” fa a gara con quello della “Taverna Greca” a chi rompe più piatti davanti ai piedi degli ignari passanti, per attirare l’attenzione sulle loro specialità. Il profumo che si spande dalla “Pizza rustica”, gareggia con quello della “Creperie Le Minos”.
E poi, per i veri buongustai, c’è la fondue au fromage da “Chez Angelo”: duecento grammi di groviera, centocinquanta di emmenthal, un bicchiere di vino bianco, un bicchierino di Kirsch e mezza baguette un pò tostata, fatta a pezzetti piccoli, da intingere dentro. Chi l’ha provata, il giorno dopo non è riuscito a non tornarci. Ma Rue de la Huchette non è solo ristoranti, è molto di più. Per gli amanti di vita, in quella strada può accadere di tutto!

Monsieur, in quel quartiere, era il Re! Lo conoscevano tutti. Anche se, da qualche mese, era scomparso dalla circolazione, i serveurs dei ristoranti sotto casa sua, spesso guardavano in alto, si indicavano a vicenda il lungo balcone ormai vuoto e scuotevano la testa. Etienne passeggiava, stanco, nelle stanze vuote di quella enorme casa, si soffermava davanti alla porta socchiusa della camera di Julien, poi abbassava lo sguardo e passava oltre.
A volte entrava e tirava leggermente in avanti il cassetto della scrivania che, a suo tempo, era del bambino. Come a controllare che fosse effettivamente vuoto. Perchè se quel giorno fosse stato pieno, forse oggi lui non sarebbe più li, ad osservare quella stanza colma di ricordi, in mezzo alle altre, un tempo animate di vita e di lussuria ed oggi abbandonate a se stesse.

Eppure era tempo che lui si decidesse a partire, se voleva salutare Dolores, prima che i voti le impedissero, almeno per qualche tempo, di vedere gente estranea intorno a lei. Ma lui era bloccato nei movimenti, quella energia, quell’entusiasmo che lo avevano fatto correre in lungo e in largo, per molti anni, nei vari continenti di tutto il mondo, adesso era sepolta.
La sua mente era piena di ricordi, ma non aveva più voglia di vivere. --ooo-- Chissà come sarebbe stata oggi la sua vita, se quel fatidico giorno di aprile lui fosse stato in viaggio chi sa dove. Oppure se Evita non avesse più trovato quel numero di telefono, inutilizzato da anni. O ancora se il numero fosse stato cambiato, o chissà quante altre cose potevano fare andare in modo diverso le sorti del destino.

E invece quel giorno lui era a casa, era solo sceso al bar per uno dei suoi soliti incontri d’affari con un amico. Evita aveva composto il numero che aveva trovato in quella vecchia agendina persa nel tempo e dall’altra parte dell’oceano aveva risposto una voce in francese: «hello madame». Lei aveva chiesto se era lì monsieur Etienne Larousse e l’uomo all’altro capo del filo aveva riconosciuto subito quella voce, nonostante il tempo e un fiume di vicissitudini ne avessero alterato il timbro e la cadenza. Era rimasto impacciato, confuso, non sapeva cosa era meglio dire e cosa non dire.

Si era inceppato più volte ed era riuscito a dire solo frasi a metà, seppur nel suo francese elegante e raffinato. Ma Evita non aveva capito nulla, ormai aveva perso l’abitudine a quella lingua. Poi, sforzandosi di comporre qualche frase, con quel pò che ricordava del suo francese civettuolo e carico di maliziose gentilezze, chiese a quel brav’uomo, “se avesse avuto la possibilità di rintracciare Monsieur”, di dirgli che era successo qualcosa di grave a suo figlio Julien e, “se fosse stato possibile, avrebbe gradito che lui la chiamasse al telefono”.
Gli dettò il numero, scandendo le cifre in un francese che già risultava comprensibile, disse di chiamarsi Evita ed il motivo per cui lo cercava era importante ed urgente. Appena Etienne era rientrato in casa,

Gustave gli si era avvicinato con il suo solito fare impersonale e riservato: «Madame Evita ... ha cercato di lei, ha lasciato il numero a cui può richiamarla». “Evita”, pensò subito Etienne, cercando di ricordare se, nei giorni scorsi, avesse dato il suo numero di telefono a qualche ragazza che si chiamasse così. Eppure quel nome non gli era nuovo.
Guardò il prefisso internazionale, era di qualche stato dell’America del Sud. Cominciò a comporre il numero, ma nel frattempo la sua mente si mise a scavare nei ricordi e ne trovò molti: caldi, freddi, brucenti, sensuali, dolorosi. Pochi anni di fuoco e poi l’oblio! In effetti, laggiù viveva una donna che lui conosceva bene. Era passata meno di un’ora ed il telefono di Evita squillò di nuovo.

Era Etienne, da Parigi, incuriosito e con la voce agitata che chiedeva come mai si fosse fatta viva dopo tanto tempo, dicendo che lui l’aveva cercata migliaia di volte, con insistenza ed in tutti i modi (ma non era vero, dopo che lei se n’era andata, lui aveva fatto si e no due telefonate per sapere se il figlio era con lei, poi nulla più), che lui si era molto preoccupato non sapendo cosa ne era stato di lei e del figlio. Nel mentre che parlava, cercava di immaginarla come poteva essere adesso: era ancora attraente? Focosa e sensuale come ai vecchi tempi?
Oppure gli anni avevano reso il suo corpo meno flessuoso? Perchè aveva telefonato dopo tanto tempo? Voleva qualcosa? Riprendere il loro rapporto? O ricattarlo, forse per qualche pretesa che lui non aveva esaudito? Evita non lo stette neanche a sentire e tagliò corto, gli disse che lei stava bene ma che il figlio era morto.

Etienne si interruppe nelle sue fantasticherie, cominciò a balbettare, i suoi buoni propositi di passare di nuovo qualche ora di sesso estremo con lei, inceppavano in qualcosa che non capiva o cercava di non capire. Scosse la testa, forse pensava che Evita gli stesse raccontando una delle sue solite bugie per spillargli un po’ di soldi.
Ma lei aggiunse con tono freddo e deciso: «Ti sto telefonando perché forse non sai che l’unico desiderio di Julien era quello si essere sepolto accanto a Jim Morrison». Etienne si fermò, cominciò a ragionare e si rese conto che era tutto vero. Una fitta di intenso dolore gli trafisse il cuore, togliendogli anche la capacità di riflettere. Per qualche minuto non disse nulla, non sentiva neppure la voce di Evita che ripeteva «hello, hello», in quel momento capì solamente di essere anche padre e di avere dei doveri, verso un figlio.
Si rese conto che il suo dispiacere derivava da tutte le occasioni perdute di svolgere quelle funzioni di padre a cui non aveva mai pensato, che aveva buttato via quei pochi anni in cui avrebbe potuto farlo.

La sua testa girava forte, si sedette per non cadere. Poi riprese il controllo e disse ad Evita che l’indomani, a Lima, sarebbe arrivato anche lui, per portare Julien in Francia, nel posto dove lui sicuramente sarebbe voluto tornare, anche se in modo diverso e non solo per avere il suo eterno riposo. Subito dopo Etienne chiamò il Direttore artistico del suo teatro e disse che per un paio di giorni lui sarebbe stato via. Poi chiamò il pilota del suo jet personale e gli disse di fare in tutta fretta un piano di volo per Lima, lui stava già partendo per l’aeroporto, nel tempo massimo di un’ora sarebbero dovuti decollare.

Alfio Giuffrida

25/09/2015 01:09

A parte il commento di Oscar, i suggerimenti e le critiche (costruttive) a questi due capitoli mi sono arrivati solo via email, per cui li riassumo qui.

Anzitutto il titolo: meglio il secondo che avevo proposto io stesso: “Il Cammino della Speranza” Quanto al testo, mi è stato fatto notare io “scelgo un punto di vista che di volta in volta si adatta e si identifica col personaggio principale del segmento raccontato. Nel brano successivo egli consegna il testimone al protagonista successivo del brano seguente. E così via.”
In questo modo, mi si è detto, “Come fai a coinvolgere il lettore spezzettando la storia in tanti capitoli ognuno diverso dall’altro?” Ed inoltre “Chi legge ha la netta sensazione che tu stia scrivendo “a tema”, che per l’Autore non contino i pensieri e le reazioni dei singoli personaggio ma il quadro d’insieme che TU hai in testa: la finalità che tu ti proponi di raggiungere toglie spessore e credibilità a ciò che racconti. La smania di aggiungere azioni ad azioni ti porta a una narrativa “discorsivo-descrittiva”, lineare, progressiva, complessiva ma priva di “anima””.

Tutti questi consigli e suggerimenti, mi son sembrati giusti e utili, per cui ho cercato di farne tesoro, riscrivendo il primo capitolo de “Il Cammino della Speranza” nel modo seguente:

Cap 1. Dolores. La prima notte a Santiago.

Le stelle assistevano, immobili, al duro travaglio di Dolores. Guardavano il suo volto sempre più pallido, incapaci di esprimere quel consiglio che lei aveva chiesto loro con forza, appena visibili in un cielo che già si ammantava di rosso, mentre l’aurora avanzava potente. Lei non aveva chiuso occhio tutta la notte. Il suo sguardo era assente, la gola asciutta, la mente frastornata da mille pensieri.
Tra riflessioni, paure e incertezze era rimasta insonne, dinanzi alla finestra, in attesa che i primi raggi di luce le schiarissero le idee.

A Santiago era l’alba di un nuovo giorno, ma per lei era il tramonto di una vita. Ogni volta che la sua mente rifletteva sull’idea di entrare in convento, prendere i voti per lasciarsi il passato alle spalle, sentiva un brivido di terrore scorrere lungo la schiena. Quell’idea la martellava da tempo, ma ora che il momento era giunto, quella soglia di gelido marmo la spaventava. Varcarla, voleva dire: per sempre! Quel Cammino lei avrebbe voluto farlo, eccome se avrebbe voluto! Con la Fede nel cuore che il Fato avverso, prima o poi, l’avrebbe lasciata in pace. Ma la Speranza, ormai, era svanita.

Dentro di se non c’era più una vita da rincorrere, una gioia che meritasse di essere vissuta. Eppure quel destino se lo era scelto da sola! Quello era l’unico modo per ricominciare. Le ferite nella sua mente erano vivide, rivedeva i bagliori della sera precedente.
La suora guardiana camminava lenta, a passi solenni. Lei la seguiva come un condannato che si avvia al patibolo: esamine e assente. La porta del grande salone si aprì e a i suoi occhi apparve una scena da favola, un interminabile schieramento di suore attendeva il suo passaggio.

Erano giovani e belle, allineate per fare ala alla sua marcia verso lo studio della Badessa. Ciascuna con il proprio libretto dei canti in mano, eteree e solenni, apparentemente felici nelle tonache bianche, mentre intonavano inni di gioia, perfette nello svolgimento delle loro funzioni. Lei camminava con passo incerto, frenando a stento le lacrime, non sentiva il terreno sotto di se, non aveva la percezione delle distanze, finché arrivò ad una soglia.

La suora guardiana bussò, ma anche se nessuno rispose, lei aprì la porta e fece cenno alla giovane di entrare ed inchinarsi davanti alla Signora. La Superiora le pose mille domande, per capire se la sua decisione fosse spontanea ed irreversibile. E lei rispose a tutte con la fermezza di un generale. Aveva chiesto una sola eccezione: poter tornare due giorni in Ecuador, per assistere al matrimonio di Estella, la giovane che, finché non si fosse intromesso il fato, era stata la sua migliore amica.
Ma poi erano accaduti molti fatti, che le avevano messe contro. Momenti dolci, da custodire in segreto. Periodi bui, che non si possono dimenticare.

E adesso, proprio in quei giorni, Estella stava iniziando il Cammino. Per lei la Speranza non era ancora spenta. Se il Signore le avesse concesso la grazia, avrebbe potuto realizzare il suo sogno: sposare Alex ed avere una vita normale. Ed era suo dovere assistere a quel matrimonio! Uscivano roche quelle parole, fece uno sforzo immane per pronunciarle, forse quell’idea le veniva proprio difficile da concepire, ma sapeva che doveva essere presente!
La suora notò quel suo sforzo, ma non disse nulla, non era ancora il momento di sapere oltre. Aveva il viso dolce come una mamma, ma le sue parole erano dure come la Fede. Quella che Dolores aveva deciso di accogliere. «Questo», le aveva detto con orgoglio, durante il suo colloquio, «è uno dei pochi posti al mondo in cui la mondanità non è mai entrata. E ne resterà sempre fuori, almeno finché sarò io a dirigerlo! Chiunque abbia scelto liberamente di vivere fra queste mura, deve sapere che la prima regola è l’obbedienza! E deve essere cieca ed assoluta.»

Queste parole, dette con un tono di voce sempre crescente e risoluto, destarono nella giovane un brivido di freddo. Era rimasta impietrita, con lo sguardo fisso sul volto dell’anziana donna, impaurita dal peso incombente di quel macigno appena pronunciato.
La Monaca capì il suo sgomento, addolcì il viso e continuò. «Obbedienza non vuol dire rinunciare a discutere o ad avere proprie idee.
Purtroppo anche la Chiesa non è rimasta immune a quella insana bramosia di contestazione che, dal sessantotto in poi, ha pervaso i giovani di tutto il mondo. Da allora l’Ipocrisia ha preso il potere assoluto, sulla vita di tutti noi, giovani prescelti a subire una traumatica trasformazione della società. Le idee, gli affetti, gli .... tutto è cambiato! Non è rimasto nulla della famiglia, del rispetto verso le istituzioni, degli equilibri che erano chiari in noi. Solo la Chiesa era rimasta immune, solido baluardo a guardia della morale.

Ma adesso, pur se è duro ammetterlo, anche all’interno della nostra comunità lo spirito rivoluzionario ha fatto breccia. Non c’è stato Santo che tenga. Neanche il Papa è riuscito a dare una voce unica alla Chiesa.
E adesso come facciamo a parlare di morale, se siamo stati noi a dare per primi il cattivo esempio?» Si accorse tuttavia che, nella foga della sua collera, si era scomposta il velo, sbracciata le maniche come una lavandaia, le vene del suo collo si erano inturgidite e si era fatta rossa in volto, come se avesse bevuto vino. Si rese conto che con quelle sue parole si era spinta troppo. Che un discorso così profondo non poteva essere fatto ad una aspirante novizia.

Accarezzò la giovane sulla spalla, si spinse appena in avanti, come se volesse baciarla in fronte, ma si fermò. Chissà quali pensieri passavano, in quel momento, nella sua mente? Forse ricordi di gioventù, che a volte affioravano come fiamme ardenti, su cui occorreva gettare nuovi mucchi di sabbia per seppellirli ancora più profondamente.
Fissò di nuovo la l’aspirante novizia, ammorbidendo il suo sguardo che si era fatto cupo e, con un cenno del capo, le indicò che era il momento di accommiatarsi. Entrambi avevano estremo bisogno di pace e di serenità.

Le diede una settimana di tempo per riflettere, poi avrebbero avuto un nuovo colloquio. E dopo, forse, tanti altri ancora. Prima di prendere i voti doveva ponderare tutti i pro e i contro, essere sicura della sua scelta.
Dentro quelle mura, il tempo aveva un altro ritmo, scorreva lento, ma implacabile. Si era in un altro mondo, ma non fuori da esso, anzi quel luogo aveva le caratteristiche giuste per essere il centro della saggezza dell’universo.
Dolores uscì dalla scarna aula in silenzio e ripiombò in quell’ambiente in cui nulla era lasciato al caso, tutto era predisposto. Non c’era più la festa di qualche ora prima, quell’interminabile schieramento di monache, adesso era in ordine sparso. Si sentì scrutata, guardata dentro, commiserata, mentre lei era sola nei suoi pensieri.
Notava la differenza tra quando era passata la prima volta nell’ampio salone, per avviarsi allo studio della Superiora: allora erano tutte in riga sotto il comando della guardiana, con un falso sorriso stampato in volto. Adesso, invece, non avevano un copione da recitare, erano assorte nei loro problemi. Ruotavano lente attorno a lei e la guardavano negli occhi, mute.

Chi era quella che si era avvicinata a lei, quasi volesse dirle qualcosa, confidarle un segreto? Era bella, giovane, perfetta! Eppure il suo sguardo era spento! La sua bocca stava per pronunciare qualcosa, ma poi si era fermata, cosa avrebbe voluto dire?
I suoi occhi erano pieni di parole, esprimevano occasioni perdute, desideri mai realizzati, rimpianti di una vita non vissuta. Il cuore di Dolores si era messo a battere forte, una scarica di adrenalina aveva attraversato il suo corpo.
Forse era ancora in tempo? La suora guardiana le indicò, con un piccolo cenno, una giovane suora da seguire e lei si avviò. La novizia che le fece da guida non la guardò mai in volto, forse non le era permesso. Uno sguardo indiscreto poteva essere troppo compromettente in quella congregazione fatta di pace e di riflessione.

Camminava lenta davanti a lei, aprendo le porte, facendola passare e poi richiudendole, quando occorreva. Finché arrivò all’ultima porta. Quì la novizia aprì, ma non entrò, aspettò a occhi bassi il passaggio di Dolores e poi andò via senza neanche girarsi. Lei chiuse la porta della sua piccola cella, si guardò attorno come per cercare un volto amico, qualcuno che potesse consigliarla.
Ma non c’era nessuno! Era del tutto sola, sola con i suoi pensieri. Il silenzio era solenne, non si sentiva nessun respiro.

Avvertiva, lontano e leggero, il battito di mille cuori. Dolores rivedeva quei volti inespressivi, eppure, scorgeva dentro di loro tanta serenità. Ed era proprio quella pace dell’anima la cosa che la attraeva di più. Ne aveva un estremo bisogno!
Chiuse gli occhi e vide il volto immaginario di un figlio mai nato, la spada del fato che aveva reciso il suo amore segreto, la fine di una vita attiva in cui aveva sempre creduto. Dunque era quello il destino a cui il Signore l’aveva predestinata?

Abbandonare i propri problemi e offrirsi al prossimo? Ignorare la differenza tra la vita di provincia e quella di città, le gioiose attrattive che aveva sognato e la cruda realtà che la falce bendata del destino le aveva riservato? Era proprio questo, ciò che lei voleva fare?
Eppure sentiva, potente, il bisogno di estraniarsi dai tanti episodi tristi che avevano caratterizzato quel dannato anno, ormai al tramonto, e ritrovare, nella serenità di quelle mute pareti, uno scopo che desse vita ad un’anima in pena. Si accostò alla finestra a rimirar le stelle. Non aveva voglia di svestirsi e di mettersi sotto le coperte, la sua mente era un turbine di ricordi.

Alfio

24/09/2015 05:09

Ho seguito i consigli di Oscar ed ho provato a riscrivere l’incipit de: “Il cammino della Speranza”.

Ecco una versione che, forse, è migliore. Come vi sembra?

Le stelle erano ancora visibili in cielo, mentre l’alba avanzava potente. Dolores non aveva chiuso occhio tutta la notte. Tra riflessioni, paure e incertezze era rimasta insonne dinanzi alla finestra, in attesa che i primi raggi di luce le schiarissero la mente. A Santiago era nato un nuovo giorno, ma per lei era il tramonto di una vita. Ogni volta che la sua mente rifletteva sull’idea di entrare in convento, prendere i voti per lasciarsi il passato alle spalle, sentiva un brivido di terrore scorrere lungo la schiena. Quell’idea la martellava da tempo, ma ora che il momento era giunto, la cosa la spaventava.

Eppure quel destino se lo era scelto da sola! Le appariva il solo modo per ricominciare. Rivedeva la festa del giorno prima, quell’interminabile schieramento di monache che scorrevano lente davanti a lei, sola nei suoi pensieri. Notava la differenza tra quando era passata la prima volta nell’ampio salone, per avviarsi allo studio della Superiora: allora si era sentita attratta da quella lunga fila di suore, allineate per fare ala al suo passaggio, ciascuna con il proprio libretto dei canti in mano, eteree e solenni, felici nelle tonache bianche, mentre intonavano inni di gioia, perfette nello svolgimento delle loro funzioni.
Quando era uscita invece, erano in ordine sparso, assorte nei loro problemi. E tutte le ruotavano attorno e la guardavano negli occhi, mute. Chi era quella che si era avvicinata a lei, quasi volesse dirle qualcosa, confidarle un segreto? Era bella, giovane, perfetta! Eppure il suo sguardo era triste! La sua bocca stava per pronunciare qualcosa, ma poi si era fermata, cosa avrebbe voluto dire? I suoi occhi erano pieni di parole, esprimevano occasioni perdute, desideri mai realizzati, rimpianti di una vita non vissuta.

Il cuore di Dolores si era messo a battere forte, una scarica di adrenalina aveva attraversato il suo corpo. Forse era ancora in tempo? Il silenzio era solenne, non si sentiva nessun respiro, solo, leggero, il battito di mille cuori. Dolores guardava quei volti inespressivi, eppure, scorgeva dentro di loro tanta serenità. Chiuse gli occhi e vide il volto immaginario di un figlio mai nato, la spada del fato che aveva reciso il suo amore segreto, la fine di una vita attiva in cui aveva sempre creduto.
Dunque era quello il destino a cui il Signore l’aveva predestinata? Abbandonare i propri problemi e offrirsi al prossimo? Ignorare la differenza tra la vita di provincia e quella di città, le gioiose attrattive che aveva sognato e la cruda realtà che la falce bendata del destino le aveva riservato? Era proprio questo, ciò che lei voleva fare? Eppure sentiva, potente, il bisognio di estraniarsi dai tanti episodi tristi che avevano caratterizzato quel dannato anno, ormai al tramonto, e ritrovare, nella serenità di quelle mute pareti.

Massimo

23/09/2015 09:09

Caro Alfio, secondo me il tuo testo è troppo descrittivo.
Dovresti dargli più ritmo e più sentimento. Come hai scritto tu stesso nelle tue considerazioni su come scrivere un romanzo, devi esprimere i sentimenti dei personaggi. Io rifarei il brano che va da “La prima cosa che le venne in mente” fino a “quelli di cuore di una ragazza di vent’anni.” in questo modo. Dimmi come ti sembra.

Guardò l’agendina che aveva in mano, l’aveva portata con se pensando, forse, di dover prendere appunti dal suo colloquio con la superiora. Ma non c’era alcun punto particolare da ricordare. I punti salienti della sua vita erano vivi nella sua mente.
«Quel bacio io l’ho rubato, lui non ha colpa, sono stata io e solo io la colpevole del mio destino. Non volevo quella vita di provincia dove ero nata, non la sopportavo! Cotacachi mi stava stretta, volevo le luci e la frenesia di Quito.
Avevo bisogno di evadere, vivere una vita mondana. Forse aveva ragione Felipe, forse lui, povero padre, si era veramente sacrificato per me. Si era ridotto ad una nullità, ad un umile guardiano notturno in una industria di trasformazione del pesce, per non fare mancare almeno l’essenziale a me e a mio fratello.

Pablo era piccolo, non poteva capire i suoi sacrifici e il nonno era troppo preso dai suoi ricordi da vecchio lupo di mare, per immedesimarsi nella situazione della nostra famiglia. Solo Consuelo sapeva mandare avanti la casa, con quei pochi soldi che aveva a disposizione. Mamma! Mamma! Io ho tradito i tuoi insegnamenti!»

Le lacrime scendevano copiose sul suo vestito, dovette fermarsi un attimo nei suoi pensieri, prendere un fazzoletto ed asciugarsi. «In fondo a casa c’era tanta armonia, cosa mi mancava? Avevo il nonno con cui confidarmi nei miei segreti più intimi, lui aveva una soluzione per ogni problema, anche per quelli di cuore di una ragazza di vent’anni. Perchè non ho ascoltato i suoi consigli anzicchè imporre le mie voglie? ...

Alfio

22/09/2015 09:09

@Rosaria, grazie della tua condivisione nelle sensazioni che vorrei trasmettere con il mio romanzo, hai proprio colto il segno.
@Luisa, grazie degli utili suggerimenti per migliorare il mio stile e dare più impeto e ritmo al romanzo. Ho già apprezzato i suggerimenti di Oscar ed ho fatto una prima revisione, ma, fatta da me stesso è evidentemente troppo simile alla versione originale.
So che il lavoro degli editor dovrebbe essere pagato, ma vedo su Linkedin che essi scrivono commenti lunghi una pagina ed oltre.
Pregherei qualcuno di loro di dedicare dieci minuti a questo laboratorio; una loro revisione sarebbe sicuramente utile a noi scrittori e, se le revisioni vengono da più di un editor, un confronto sul metodo di revisione sarebbe utile anche a loro.

luisa

22/09/2015 05:09

Caro Alfio ho letto il tuo brano Il Cammino di Santiago e se devo essere sincera mi è sembrato molto descrittivo, lo stile forse un pò troppo lineare. I personaggi dovrebbero essere più scolpiti, dovrebbero esternare le loro emozioni con maggior impeto,
Lo stato d'animo di Dolores ad esempio è descritto a parole, invece il suo dramma dovrebbe trasparire dai suoi gesti. Darei anche maggior ritmo e più tensione. Credo che l'incipit riscritto da Oscar sia un buon punto di partenza.

rosaria

22/09/2015 08:09

"Il cammino della speranza" è un bellissimo titolo, e la storia offre al lettore ottimi spunti di riflessione. sarebbe, forse,interessante penetrare più a fondo nell'animo dei personaggi e alleggerire un po' le descrizioni del momento storico in cui essi agiscono. perché qui c'è tutto: le aspettative ed i sogni di una giovane donna, la durezza di una vita grama e scarna di affetti, la voglia di amare ed essere amata, e poi...il tormento dei dubbi più profondi del cuore nel sentir vacillare un sentimento apparentemente stabile dinanzi al fuoco di una passione improvvisa, la tragica fatalità che farà di un bacio causa di morte, il susseguirsi dei sensi di colpa. il desiderio di perdono ed espiazione. non so come potrei scriverlo, non scrivo romanzi, ma dico solo come mi piacerebbe leggerlo.

Oscar

20/09/2015 04:09

Il Cammino della Speranza – Cap. 1 –

L’incipit io lo farei così: “ Per Dolores la notte era stata lunga e difficile.
Tra riflessioni e paure e incertezze era rimasta insonne dinanzi alla finestra, in attesa che i primi raggi di luce le schiarissero la mente. Quando la città di Santiago prese a risvegliarsi dalle tenebre sentì un brivido di terrore scorrere lungo la schiena.
L’alba del nuovo giorno infatti, segnava per lei il tramonto di una vita. Da tempo ormai rifletteva sull’idea di entrare in convento. Prendere i voti per lasciarsi il passato alle spalle appariva il solo modo per poter ricominciare. Ma ora che il momento era giunto, la cosa la spaventava. A spazzare via i suoi timori c’era solo la morsa incessante del dolore che l’affliggeva dall’anno precedente.

Il volto immaginario di un figlio mai nato. La perdita di Alex, che con la sua scomparsa aveva portato via l’amore. Tristezze e tristezze che continuavano a confermare la scelta presa. Non voleva più dar voce a quelle grida di sofferenza e se il solo modo di zittirle era offrirsi al prossimo, beh… lo avrebbe fatto.
Era ancora presto, ma nel corridoio si udivano già i passi delle monache che cominciavano a sgusciar fuori dalle proprie celle per riunirsi nella preghiera mattutina. Di lì a poco Dolores sarebbe stata ricevuta dalla madre superiora……..”

Alfio Giuffrida

19/09/2015 01:09

Il primi due capitoli della versione rivista sono pronti, per cui li sottopongo a degli amici, scrittori ed editor (conosciuti nei gruppi di interesse editoriale di LinkedIn).

Grazie all’intreccio, il romanzo si concentra nel periodo del Cammino di Santiago, ovvero l’ultimo periodo (cronologico) del racconto e le varie scene vengono rievocate dai protagonisti. I nomi dei personaggi sono stati cambiati ed anche il titolo, che dovrebbe essere “Il Cammino di Santiago”.

Riporto una parte del primo capitolo.

Cap 1. Dolores. La prima notte a Santiago.

A Santiago era l’alba di un nuovo giorno, ma per Dolores era il tramonto di una vita.
Eppure quel destino se lo era scelto da sola! Rivedeva la festa del giorno prima, quell’interminabile schieramento di monache che scorrevano davanti a lei, sola nei suoi pensieri.
Notava la differenza tra quando era passata la prima volta nell’ampio salone, per avviarsi allo studio della Superiora: allora si era sentita attratta da quella lunga fila di suore, allineate per fare ala al suo passaggio, ciascuna con il proprio libretto dei canti in mano, eteree e solenni, felici nelle tonache bianche, mentre intonavano inni di gioia, perfette nello svolgimento delle loro funzioni.

Quando era uscita invece, erano in ordine sparso, assorte nei loro problemi. E tutte le ruotavano attorno e la guardavano negli occhi, mute. Eppure quegli sguardi erano pieni di parole, esprimevano occasioni perdute, desideri mai realizzati, rimpianti di una vita non vissuta.

Dolores guardava quei volti inespressivi, eppure, vedeva dentro di loro tanta serenità. Dunque, quella poteva essere la vita anche per lei. Abbandonare i propri problemi e offrirsi al prossimo. Ed era proprio ciò che lei voleva fare: estraniarsi dai tanti episodi tristi che avevano caratterizzato quel dannato anno, ormai al tramonto, e ritrovare, nella serenità di quelle mute pareti, le immagini di Alex e del suo bambino mai nato.

E poi quelle di Dolores e di Julien, vittime involontarie del suo dramma. Finalmente ignorare la differenza tra la vita di provincia e quella di città, le gioiose attrattive che aveva sognato e la cruda realtà che la falce bendata del destino le aveva riservato. La Superiora le aveva posto mille domande, per capire se la sua decisione fosse spontanea ed irreversibile.
E lei aveva risposto a tutte con la fermezza di un generale. Aveva chiesto una sola eccezione, poter tornare due giorni in Ecuador, per assistere al matrimonio dell’amica che, proprio in quei giorni, stava iniziando il Cammino.

Aveva il viso dolce come una mamma, ma le sue parole erano dure come la Fede. Quella che Dolores aveva deciso di accogliere. «Questo», le aveva detto con orgoglio durante il suo colloquio, «è uno dei pochi posti al mondo in cui la contestazione non è mai entrata. E spero che possa restarne fuori, almeno finché sarò io a dirigerlo.
Chiunque abbia scelto liberamente di vivere fra queste mura, deve sapere che la prima regola è l’obbedienza! E deve essere cieca ed assoluta.» Queste parole, dette con un tono di voce sempre crescente e risoluto, destarono nella giovane un brivido di freddo.
Era rimasta impietrita, con lo sguardo fisso sul volto dell’anziana donna, impaurita dal peso incombente di quel macigno appena pronunciato.

La Monaca capì il suo sgomento, addolcì il viso e continuò. «Obbedienza non vuol dire rinunciare a discutere o ad avere proprie idee. Significa che prima di professarle, devono essere approvate. Da quel fatidico sessantotto la contestazione è diventata l’esigenza prioritaria dei giovani.
Si è detto che le vecchie regole su cui era impostata la società erano sbagliate, che occorreva cambiarle. Ma con che cosa?
Quelle regole, quella gerarchia, quei limiti, erano frutto di una esperienza millenaria. Cambiarle in pochi anni è stato qualcosa di altamente traumatico.
Dare troppa ragione a chi contesta la società, la legge, i diritti altrui e trascurare chi ottempera ai propri doveri, ha portato scompiglio nei giovani, togliendo loro qualsiasi punto di riferimento certo, sul quale poter basare il proprio rapporto con gli altri, generando in loro solo sconforto ed infelicità.

La vita e la società hanno bisogno di regole da rispettare, occorre anzitutto conoscere i propri doveri a cui obbedire! E poi i diritti da recriminare! Non possiamo invertire questi due concetti.».

La mente di Dolores andò subito ai discorsi che le faceva Roberto, a Lima, ma non disse nulla. Capì che non sempre è necessario parlare, spesso è più importante ascoltare! E così fece.

Da quel silenzio, la Madre si rese conto che il suo discorso era stato recepito e continuò: «Purtroppo anche la Chiesa non è rimasta immune a questa insana bramosia di contestazione.
Pur se è duro ammetterlo (e molti si rifiutano ancora di farlo), anche all’interno della nostra comunità lo spirito rivoluzionario ha fatto breccia.
Da quella ventata di ribellione, anche l’ambiente religioso si è macchiato delle colpe generate dai sensi, che non sono stati tenuti sotto controllo, o dalla bramosia di fama e di denaro, o dalla voglia di fare qualcosa senza l’approvazione dei Capi. E non c’è stato Santo che tenga.
Neanche il Papa è riuscito a dare una voce unica alla Chiesa.» disse con voce sempre più solenne e frenetica. «Ogni Prete ha predicato la sua opinione, forse a fin di bene, ma con un risultato dubbio, che non ha portato un beneficio effettivo alle persone interessate.

C’era proprio bisogno di cambiare ogni cosa obbligatoriamente? Di intraprendere ad ogni costo così tante azioni non coordinate che, pur se fatte tutte a fin di bene, sono state sfruttate da abili opportunisti e fatte ritorcere contro la collettività alle quali erano dirette?
E adesso come facciamo a parlare di morale, se siamo stati noi a dare per primi il cattivo esempio?»

Si accorse tuttavia che, nella foga della sua collera, si era scomposta il velo, sbracciata le maniche come una lavandaia, le vene del suo collo si erano inturgidite e si era fatta rossa in volto, come se avesse bevuto vino. Si rese conto che con quelle sue parole si era spinta troppo.
Che un discorso così profondo non poteva essere fatto ad una aspirante novizia. Scrutò la giovane fissandola negli occhi, per indagare quale fosse il suo pensiero.

Dolores era turbata, impaurita, aveva recepito bene il concetto di quelle frasi e con piccoli cenni del capo faceva capire che le condivideva. Ma la Superiora era un’abile psicologa, e in quel rispettoso silenzio, in quelle titubanze della sua espressione, lesse qualcosa che, effettivamente, la giovane pensava, ma non si sognava minimamente di proferire.
Il suo sguardo sereno nascondeva una riflessione ben taciuta, un pensiero ad altri tempi, raccontati a mezze parole in qualche libro di un paio di secoli fa. Nei suoi occhi si leggevano conventi di monaci e di suore, rigorosamente distinti e separati, ma collegati segretamente da stretti cunicoli sotterranei, nei quali si nascondevano urne preziose, piene di ossicini del frutto del peccato.

La Madre deglutì, ma non disse nulla, a volte i silenzi sono più espliciti di mille parole. Accarezzò la giovane sulla spalla, si spinse appena in avanti, come se volesse baciarla in fronte, ma si fermò. Chissà quali pensieri passavano, in quel momento, nella sua mente? Forse ricordi di gioventù, che a volte affioravano come fiamme ardenti, su cui occorreva gettare nuovi mucchi di sabbia per seppellirli ancora più profondamente.

Senza dire nulla, si accorse che le sue deduzioni sugli anni d’oro della Fede, dovevano essere spostati a periodi ancora più remoti, forse ai tempi dei Martiri e delle persecuzioni.
Fissò di nuovo la giovane ammorbidendo il suo sguardo che si era fatto cupo e, con un cenno del capo, le indicò che era il momento di accommiatarsi. Entrambi avevano estremo bisogno di pace e di serenità. Le aveva dato una settimana di tempo per riflettere, poi avrebbero avuto un nuovo colloquio. E dopo, forse, tanti altri ancora.

Prima di prendere i voti doveva ponderare tutti i pro e i contro, essere sicura della sua scelta. Dentro quelle mura, il tempo aveva un altro ritmo, scorreva lento, ma implacabile. Si era in un altro mondo, ma non fuori da esso, anzi quel luogo aveva le caratteristiche giuste per essere il centro della saggezza dell’universo.

Dolores uscì dalla scarna aula in silenzio e ripiombò in quell’ambiente in cui nulla era lasciato al caso, tutto era predisposto. La monaca che faceva da portinaia le indicò, in silenzio, una giovane suora da seguire e lei si avviò.
La novizia che le fece da guida, non la guardò mai in volto, forse non le era permesso. Uno sguardo indiscreto poteva essere troppo compromettente in quella congregazione fatta di pace e di riflessione.

Camminava lenta davanti a lei, aprendo le porte, facendola passare e poi richiudendole, quando occorreva. Finché arrivò all’ultima porta. Quì la novizia aprì, ma non entrò, aspettò a occhi bassi il passaggio di Dolores e poi andò via senza neanche girarsi.
Lei chiuse la porta della sua piccola cella, si sedette sul bordo del letto e restò sola. Non aveva voglia di svestirsi e di mettersi sotto le coperte, la sua mente era un turbine di ricordi.

Alfio Giuffrida

15/09/2015 12:09

Riporto, anzitutto, una parte del 1° capitolo di “L’Anno del Niño”.

Questo primo romanzo risente molto della mia formazione scientifica, è troppo descrittivo, ha molti brani che parlano di meteorologia usando un linguaggio didattico – scientifico – divulgativo, contiene alcune figure e tabelle. Inoltre manca dell’intreccio, la descrizione degli eventi segue infatti il loro svolgersi cronologico. Questi i motivi che mi hanno indotto a farne una revisione.

“L’Anno del Niño” – Capitolo 1 – Cotacachi, dicembre 1996

Era freddo la sera a Cotacachi. In Ecuador a 3.000 metri di altezza, il clima è molto diverso da quello europeo.
Le variazioni di temperatura, che nei climi temperati avvengono durante le quattro stagioni, lì spesso avvengono nell’arco di una giornata, passando mediamente da 25°C di giorno a circa 5°C di notte, ma a volte le differenze sono molto più elevate.

All'inizio di dicembre il paese era immerso nella sua solita pigrizia di città di provincia. A Cotacachi, vivevano in prevalenza i discendenti degli Spagnoli, orgogliosi e laboriosi, ma se provavate a togliere loro la siesta dopo il pranzo, li avreste solo fatto infuriare.
Loro si insediarono in Ecuador già al tempo di Cortes e questo li faceva sentire colonizzatori, padroni della terra e delle persone indigene.

Otavalo, lì vicino, aveva una popolazione più eterogenea, lì vivevano anche i pochi superstiti delle popolazioni precolombiane del luogo.
Gli indios si potevano trovare in massa al mercato, con i loro tipici abbigliamenti variopinti, a vendere a quattro soldi vari prodotti d’artigianato. Le donne invece indossavano tutte una casacca bianca, con sopra un mantello azzurro da cui uscivano la testa e le braccia.
Spesso sulla parte anteriore del mantello era stretto un fagotto, con dentro la cosa più cara che avevano, il loro bambino.

Ibarra, poco più a nord, era una città ben conosciuta tra i turisti che andavano in Sud America. Favorita da un clima leggermente più uniforme, ricca di belle case coloniali (a cui doveva il soprannome di città bianca) e con le vie in acciottolato, la città era famosa per l’artigianato, soprattutto del legno.
Qui si producevano le statuette di madera, il legno duro noto in tutto il mondo. In genere esse rappresentavano un uomo con una botticella sulla schiena, era un portafortuna e molte persone lo tenevano in casa con molto rispetto e venerazione. La chiesa di Santo Domingo ospitava una pinacoteca.

Quel giorno Manuela avrebbe dovuto essere felice. Michel, il suo fidanzato, aveva raggiunto il sogno della sua vita: Guardia giurata presso l'Ambasciata del Giappone a Lima, in Perù.
Eppure si sentiva strana, c'era qualcosa nell'aria che la rendeva nervosa, forse perché questo lavoro comportava per loro il sacrificio di stare lontani, almeno per qualche tempo.
E già, era un bel successo per un ragazzo come lui: da bambino una vita da trauma a Parigi, la sua città natale, dove suo padre, impresario teatrale, ricco di soldi ma povero di fedeltà, non passava più di dieci giorni nella stessa città.

E in quei pochi giorni, o ore, in cui il padre stava in famiglia, doveva assistere ai continui litigi che aveva con sua madre, donna insicura, rosa dalla gelosia e combattuta tra il desiderio di una vita normale, come quella di tutte le famiglie, e quella che lei stessa aveva scelto, con gli agi e la ricchezza che il lavoro del marito potevano offrirle, ma priva di un sentimento profondo e sincero.

Ma Antoine, che l'aveva sposata senza riflettere sul passo che stava facendo, ma solo perché l’aveva messa incinta, pensando solo al fuoco delle sue vene e alla sfrenata passione che metteva quando faceva all’amore, non si era neppure posto il problema se quel matrimonio fosse una cosa giusta o l’errore più grosso della sua vita.

E quando si era reso conto che Anita non era la donna adatta a lui, se mai di siffatta donna ne fosse esistita una, aveva già un figlio al collo. Ma di questo Antoine non si era mai curato, e se si fosse fermato per curarsene, sarebbe stato ancora peggio, perché avrebbe tolto alla moglie quello che, a parte il sesso praticato fino all'esasperazione, era il vero motivo della sua esistenza e l'unico legame che li univa: il denaro.

Alfio Giuffrida

14/09/2015 11:09

TRAMA – Tema del libro: La grandezza del Fato e la piccolezza degli uomini.

Il libro è una revisione del mio primo romanzo “L’anno del Niño”.

La trama è molto simile, ma sono state tolte molte delle informazioni che riguardavano la meteorologia, dando più spazio alle scene in cui mi manifestano i sentimenti dei protagonisti.
Viene esaltato il tema, imperniato sulla grandezza del Fato, che decide ogni cosa.

Contro di lui gli uomini sono impotenti, le loro volontà servono a poco. Per il titolo prima avevo pensato “Il cammino di Santiago”, poi “Il Cammino della Speranza”, ma potrebbe anche intitolarsi “Vite parallele”.

Il Cammino lo fanno solamente Alex ed Estella, mentre Dolores, che sognava la vita attiva di città, è già chiusa in un convento, rassegnata alla volontà del Fato.

I quattro personaggi raccontano ognuno le proprie impressioni su quello scellerato anno in cui il Fato, impersonandosi nel fenomeno del Niño, aveva stravolto le loro vite. Ogni capitolo ha un protagonista, che racconta, dal proprio punto di vista, i vari episodi della loro storia comune. Ciascun capitolo è suddiviso in “scene”, come in un film, ognuna con un proprio tema.

Riportiamo la suddivisione in scene dei primi due capitoli, gli altri sono riportati in modo più sintetico.

Cap 1. – Protagonista = Dolores - La prima notte in convento.

1-1Le sensazioni di una novizia – Vigilia di Natale 1997. Dolores è a Santiago de Compostela, perché ha scelto di prendere i voti e farsi suora. In convento l’ambiente è sereno, ma è solo pace oppure in quel mondo perfetto c’è anche tanta Ipocrisia?

1-2Il ricordo di una infanzia combattuta. Appena è sola nella sua cella, pensa alla sua infanzia, a Cotacachi, un paesino di provincia, da cui lei voleva evadere. Estella, la sua migliore amica, era andata a vivere a Quito, dove la vita era più movimentata e subito si era fidanzata con un ragazzo che le invidiavano tutte, compresa Dolores.

1-3 Il Fato prima la illude poi la distrugge. Poi anche lei aveva conosciuto Julien e un paio di mesi dopo lui aveva un impiego sicuro che avrebbe permesso loro di sposarsi. Ma i Tupamaros assaltarono l’ambasciata a Lima e Julien era uno degli ostaggi. Alex ed Estella andavano spesso a trovarla a Lima ed Estella, per compassione verso l’amica, li lasciava anche da soli.

1-4 Il sentimento prevale sul dramma. Alex non sospettava che Dolores fosse segretamente innamorata di lui. In un momento di sconforto, lei lo baciò. Lui rimase turbato, ma sapeva di amare solo Estella. Dopo un paio di giorni ritornò per dirle addio, ma al momento del commiato, si amarono.

1-5 Il destino colpisce quando meno te lo aspetti. Subito dopo erano entrambi pentiti del loro gesto, ma quando si salutarono con un bacio di addio, non si accorsero che gli ostaggi erano stati liberati, Julien, li sorprese, si schiantò contro un muro, morendo davanti ai loro occhi increduli.

1-6 Il dolore può oscurare la mente. Rimasero sconvolti da quella visione e non riuscirono a confessare il loro segreto, che era stato la causa di quell’incidente.

Cap. 2. – Protagonista = Etienne - Etienne si prepara ad andare a Santiago

2-1 La vita a Parigi. Etienne abitava in rue de la Huchette, un quartiere molto movimentato, dove fino a pochi mesi prima lui era un play boy dedito solo alle donne e ai soldi.

2-2 La realtà e il dramma. La morte del figlio cambiò profondamente il suo carattere. Quando Evita, la moglie separata da anni, gli comunicò la morte del figlio, lui partì subito per Lima con il suo aereo personale.

2-3 La ricchezza azzera i problemi. A Lima c’erano dei problemi per il rilascio della salma di Julien, ma lui li risolse con un paio di telefonate a degli amici importanti, poi invitò tutti i parenti a Parigi per i funerali.

2-4 Il resoconto della sregolatezza. Sull’aereo parlò con Evita dell’infanzia di Julien, del loro incontro quando lei era una ragazza in cerca di fortuna, della passione che il bambino aveva per Jim Morrison. Poi Evita era fuggita in Ecuador.

2-5 L’irreversibilità del declino. Lei gli raccontò il suo triste e irreversibile declino, mentre Julien era vissuto con i nonni e si era adeguato alla vita di provincia.

2-6 La resa dei conti. Lui si rese conto che aveva disatteso i suoi doveri verso Julien, che invece aveva sofferto a causa sua. Arrivarono a Parigi e Julien venne sepolto accanto a Jim Morrison.

2-7 La solitudine dei ricchi. Etienne ritornò a casa, ma lo martellava il pensiero di quell’incidente: cosa aveva potuto distrarre Julien, per aver fatto un incidente così banale?

Cap. 3 – Protagonista = Estella - A Pamplona Estella ed Alex iniziano il Cammino

A Pamplona è il giorno della vigilia di Natale. Estella racconta di due ragazze, che avevano vissuto l’infanzia sempre assieme e pensavano di poter vivere “vite parallele”, ma Dolores era segretamente innamorata di Alex.
Racconta i l tradimento di Alex, l’idea che lei aveva avuto di metterlo alla prova facendolo andare in Europa con Dolores e il dolore provato quando ha saputo che Dolores era incinta.

Cap. 4 – Protagonista = Alex - Il viaggio a Roma e a Parigi

Poi fu Alex a prendere la parola durante il rito della Nochebuena. Lui raccontò come il trauma per la morte di Julien avesse sconvolto la sua vita.
Per evadere dalla sorte avversa, lui si era rifugiato nello studio del fenomeno del Niño e quegli studi avevano dato vita ad una brillante carriera.

Al suo convegno a Roma avrebbe voluto Estella a fianco a se, invece era dovuto andare con Dolores, venire coinvolto nuovamente nei suoi problemi, anche con la giustizia e infine lei gli svela il segreto che è incinta. Alex rimase sconvolto da quella notizia, ma la vide come una punizione del Fato, alzò lo sguardo verso Dolores e le disse che: il bambino deve nascere.

Cap. 5 – Protagonista = Dolores – L’oltraggio, il perdono e la Speranza.

Dolores ritorna ad essere protagonista, è sola nella sua cella e dà l’addio a tutti sogni, dalla vita della città, a Julien, ad Alex che lei aveva amato in segreto, tutto era morto e sepolto.
Quando si era accorta di essere incinta, non sapeva se ciò fosse un altro dramma o una speranza. Ma poi le parole di Alex: il bambino deve nascere, la fanno tornare a vivere.
Dall’oblò dell’aereo vede la punta della Spagna e Santiago e giurò a se stessa di fare il Cammino. Non pensò al dolore che avrebbe dato ad Estella e quello fu un peccato molto grave. A Quito è felice, dice alla madre che vuole sposarsi, ma il padre è contrario.

Lei impazzisce dal dolore e si isola ad Esmeraldas, dove era stata felice da bambina. Poi Estella viene a trovarla e la perdona, lei è di nuovo speranzosa, ma il Fato la colpisce di nuovo. In una tempesta, scatenata dal Niño, fa naufragio e muore il bambino.

Cap. 6 - Protagonista = Etienne – Lo sconforto, la Speranza e la delusione.

Etienne non riuscì a preparare la valigia per andare a Santiago. La morte del figlio, il sentirsi colpevole, l’amarezza per i falsi amici, le Ipocrisie della gente sulle persone ricche, lo avevano distrutto. Voleva suicidarsi, cercò la pistola, ma non c’era più!
Anche lui pensò che fosse tutta colpa del fato e sentì il bisogno di andare a trovare Dolores. Telefonò a Quito, la madre gli disse che Dolores era fuggita da casa ed era incinta.
Il dubbio lo assalì, forse era figlio di Julien, per lui fu la Speranza che lo fece tornare a vivere. Prese il primo volo per l’Ecuador, arrivò a Guayaquil e poi a Esmeraldas. Ma il Fato fu duro anche con lui, il figlio non era di Julien ed ebbe la conferma che Dolores lo aveva tradito con Alex.

Cap. 7 – Protagonista = Alex – La Speranza. Alex ed Estella iniziano il Cammino.

A Natale inizia la vita, Alex ed Estella erano fiduciosi in quel Cammino, avevano la Speranza nei loro cuori. Ma la vigilia di capodanno quasi a mezzanotte, lei cadde rovinosamente e perse i sensi.

Aveva battuto forte la testa, sembrava morta. Alex ricordò l’incidente aereo, lui era nella lista dei passeggeri e venne dato per morto. Ma quella notizia aveva destato Estella dal suo torpore. Era quasi l’alba del nuovo giorno, ormai quell’anno così funesto era passato.
Finalmente arrivò il medico, visitò Estella e rassicurò tutti, lei era solo svenuta e ... era incinta. Per lui fu di nuovo la Speranza.

Cap. 8 - Protagonista = Estella – L’alba del nuovo anno

Estella si svegliò ed Alex le diede la bella notizia. Lei rievoca i momenti del suo perdono a Dolores, i sacrifici fatti per andare a trovarla e il destino che si era messo contro, causando il naufragio e la perdita del bambino.
Il Fato decide ogni cosa, adesso erano di nuovo assieme, ma il pensiero di Dolores li bloccava.

Cap. 9 – Protagonista = Dolores – Non più vite parallele!

Dolores sogna la vita di Estella. Quella notte Dolores sognò che Estella aveva avuto una brutta caduta. Appena sveglia, corse nella cappella del monastero per pregare per lei.
Le apparve la Madonna e le disse che Estella stava bene ed era incinta. Dolores pensava a tutti i suoi sogni infranti, eppure era felice. Si può essere felici per un’altra? In ospedale, appena saputo di aver perso il figlio, si era tagliata le vene.
Ma arrivò Estella e la salvò. Fu in quel momento che decise di farsi suora. Dolores fu felice, quella per lei era la Speranza, ancora meglio del Cammino.

Cap. 10 – Protagonista = Alex – Le difficoltà sono solo un ricordo.

Alex, finalmente, era felice. Quel figlio aveva sugellato il loro amore.
I momenti del sequestro dei Tupamaros sono ormai un ricordo. Lo sconforto quando Pablo gli sussurrò di essere un agente della Cia era passato, così come la corsa a perdifiato verso l’elicottero. Poi l’incontro con l’indios e la telefonata ad Estella: ritornava la Speranza.

Cap. 11 – Protagonista = Estella – La fuga dall’inferno

Poi è Estella a continuare il racconto. Adesso è lei l’eroe del romanzo. Quando ricevette la telefonata, non esitò un istante. Per tutta la notte Estella guidò senza fermarsi.
La mattina seguente erano alla frontiera con l’Ecuador. In autostrada si vide affiancare da macchine della polizia, alcuni elicotteri ronzavano sopra di lei. Accese l’autoradio: tutti i programmi parlavano di lei, che aveva salvato Alex, l’eroe nazionale! Estella era stanca, ma si sentiva appagata a fianco al suo uomo.

Cap. 12 – Protagonista = Etienne – L’ultimo atto di un padre

Lui vedeva Dolores come una figlia. Lei era molto riconoscente verso di lui, nel suo comportamento, adesso affettuoso e comprensivo, lei vedeva il padre che avrebbe sempre voluto.
Quando Estella gli telefonò per dirgli che Dolores sarebbe andata subito in convento, lui disse che il Cammino lo avrebbe fatto assieme a loro due. Quella mattina doveva preparare la valigia, ma la sua testa era troppo pesante di ricordi.
Decise di andare in banca per prendere un pò di contanti. Ad un tratto lui si accasciò come corpo morto. Ebbe appena il tempo di mettere tutto il denaro in un grosso pacco e lo spedì a Dolores. Poi volle essere portato al Pere Lachaise, fino alla tomba del figlio, si aggrappò alla sua croce e li morì.

Cap. 13 – Protagonista = Estella e Dolores – Il Cammino della Speranza.

Estella stava già bene. Quella gravidanza era la Speranza. Dolores era già entrata nel suo ruolo.
Fece un esame della sua esistenza e della sua conclusione. Non era quella che lei aveva desiderato, ma non ebbe alcun rimpianto e si sentì serena.

In visione le apparve il nonno che guidava un landò. La invitò a salire e dentro c’era Julien, che la abbracciò forte e le disse di amarla. Dolores portò le mani al volto, come irradiata da una immensa luce. Dunque, ciò che era accaduto era già scritto!
Noi siamo stati solamente delle comparse che abbiamo recitato un copione scritto milioni di anni fa e lungo per altrettanti anni in avvenire.
Questo era l’anno del Niño e molti dovevano pagarne le conseguenze. Nel frattempo che Julien parlava, Etienne era dietro, che accudiva un bambino che non era mai nato.
Alex ed Estella erano seduti a fianco a lei mentre il nonno era intento a spiegare ogni luogo che attraversavano. Il Cammino lo stavano facendo assieme.

Si svegliò beata e andò dalla superiora per raccontare il suo sogno. Il giorno dopo, alle undici in punto, Alex ed Estella erano davanti all’altare del “Convento di Santa Lucia”, c’era anche Dolores.
Nel grande altare, il coro era stato lasciato vuoto, c’erano solamente i foglietti dei canti.
Durante la funzione Dolores e gli sposi ebbero la visione che quei foglietti, come per incanto, si alzassero e si aprissero, una mano invisibile li sfogliava, mentre il suono dell’organo era accompagnato da un coro di voci che gli altri non sentivano, ma che loro conoscevano bene.

Al termine della cerimonia, Dolores li salutò, poi si ritirò nella sua cella, accompagnata da una suora. Alex e Estella si avviarono fuori, il cielo era terso e il vento agitava i capelli di lei, mentre le campane suonavano a festa. Chissà se le “vite parallele” esistono davvero?

Alfio Giuffrida

13/09/2015 11:09

Commento 1 - Alfio GIUFFRIDA: Il Cammino della Speranza – La Fabula.

Cotacachi, un paesino dell’Ecuador, anni 80. Estella e Dolores sono due ragazze cresciute assieme. Poi Estella va a vivere in città e si fidanza con Alex. Dolores vorrebbe evadere dalla vita di provincia, ma non può, lei è povera e vive con la madre, il fratello e i l nonno.
Dolores si innamora segretamente di Alex. Qualche anno dopo, Dolores si fidanza con Julien, nato in Francia da Etienne, un ricchissimo impresario ed Evita, una ragazza ecuadoriana che aveva cercato fortuna a Parigi. Da bambino, Julien era un accanito fan di Jim Morrison..
Julien trovò lavoro a Lima, come guardia giurata presso l’Ambasciata del Giappone ed erano già pronti per il matrimonio, ma a dicembre 1996, un gruppo di Tupamaros attuò un maxi sequestro di persone nell’Ambasciata e lui era tra i sequestrati. Dolores si trasferì a Lima per stare vicina al fidanzato, Alex ed Estella andavano spesso a trovarla.

Una volta che Estella, per compassione verso l’amica, li lasciò da soli, Dolores, che ancora era segretamente innamorata di lui, in un momento di sconforto, gli diede prima un bacio d’amore. Alex non sospettava quel suo sentimento e ne fu turbato. Dopo un paio di giorni tornò da lei per dirle addio, ma la passione li travolse e fecero all’amore. Subito dopo erano entrambi pentiti del loro gesto, ma quando si salutarono con un bacio di addio, non si accorsero che gli ostaggi erano stati liberati. Julien, che arrivava in moto proprio in quel momento, li vide baciarsi e si schiantò contro un muro, morendo davanti ai loro occhi increduli. Loro non dissero a nessuno quel loro atto di amore.

Arrivò Etienne, il papà di Julien, che fino ad allora era stato un play boy dedito solo alle donne e ai soldi. Grazie alle sue potenti amicizie, ottenne subito il rilascio della salma e la portò a Parigi, per i funerali, con il suo aereo personale. Etienne si rese conto di avere eluso i suoi doveri di padre. La morte del figlio cambiò profondamente il suo carattere, oltretutto lo martellava il pensiero di quell’incidente: cosa aveva potuto distrarre Julien, per aver fatto un incidente così banale?
Il rapporto tra Alex ed Estella era diventato freddo. Alex si era immerso nello studio del Niño, era diventato un grande esperto, cominciando a partecipare a delle conferenze. All’inizio dell’estate venne invitato in Italia per una conferenza presso il Servizio Meteorologico Italiano.

Pregò Estella di accompagnarlo, era la sua prima conferenza all’estero e lui ci teneva ad avere al suo fianco la fidanzata, ma lei si rifiutò perché era insicura del suo affetto. Poi escogitò un piano per vedere se poteva ancora credere nel suo amore, oppure a Lima era accaduto qualcosa di importante, che le impediva di fidarsi di lui. Gli propose di andare con Dolores, in modo che lei potesse approfittare di quel viaggio per visitare la tomba di Julien a Parigi.
Lui accettò pur se malvolentieri ed anche Dolores fu costretta ad accettare. Partirono assieme, a Roma lui si fermò per partecipare alla conferenza e lei proseguì per Parigi. La conferenza ebbe grande successo, ma alla fine lui ebbe una visione che Dolores era in pericolo. Alex partì a Parigi quello stesso pomeriggio.

Trovò Dolores seduta sulla tomba di Julien, con la pistola in pugno per suicidarsi. Alex la fermò, ma lei non ce la faceva più a nascondere un segreto. Ma mentre lei raccontava i particolari, Alex era distratto da una cosa che forse Dolores non aveva notato, la tomba di Julien era stata profanata. Avvertirono subito Etienne e la Polizia e in poche ore, partì una inchiesta che li tenne tre giorni sotto interrogatorio.
Poi si scoprì che a rovistare la salma erano stati i Tupamaros, che avevano cercato invano nell’intestino l’altro microfilm, che unito al primo avrebbe reso comprensibili delle importanti notizie sul sequestro effettuato a Lima. Alla fine vennero rilasciati e partirono per Quito, ma sull’aereo Dolores gli confidò il segreto: lei era incinta per quella mezz’ora di amore che avevano avuto a Lima.

Alex rimase sconvolto da quella notizia, la vide come una punizione del fato e, dopo un paio di interminabili minuti, durante i quali era rimasto assorto, con la testa tra le mani, alzò lo sguardo verso Dolores e le disse che: il bambino deve nascere! Per tutto il resto del lungo volo non si dissero nulla. Quando sorvolarono l’estremità della Spagna, dall’oblò dell’aereo, Dolores riconobbe il promontorio de La Coruna e Santiago de Compostela.

Ricordò i discorsi che faceva suo nonno e promise a se stessa che, appena possibile, avrebbe fatto anche lei il Cammino. Quella le sembrò la Speranza a cui aggrapparsi per continuare a vivere. Quell’idea la rese euforica, in grado di iniziare una nuova vita con l’uomo che lei amava, anche se sapeva che lui amava Estella. Quando atterrarono a Quito, Estella li attendeva per riportarli a casa. Per telefono aveva seguito con apprensione la nuova disavventura, la prova d’amore secondo lei era superata. Ma appena li vide scuri in viso, capì che era accaduto qualcosa di grave.

Alex le disse del figlio e lei lo aggredì, poi aggredì anche Dolores e fuggì via. Alex accompagnò Dolores a casa, ma era triste, sapevano che avrebbero dovuto iniziare una vita assieme, anche se lui non la amava. Si salutarono senza dirsi nulla. Quella stessa sera, lei lo disse alla madre, pensando di ricevere un appoggio morale. Ma la madre era incapace di prendere qualsiasi decisione, le disse solo che avrebbe dovuto chiedere al padre il consenso per quel matrimonio. Dolores aveva un brutto rapporto con il padre. Andò da lui accompagnata dal nonno. Infatti il padre rifiutò qualsiasi discorso, la chiamò puttana e la buttò fuori di casa.

Lei cadde in un forte stato di depressione, voleva morire, chiese al nonno di portarla ad Esmeraldas dove lei giocava da bambina, riuscendo ad isolarsi dal resto del mondo. Ma la loro vecchia casa non c’era più. Si rifugiarono in una capanna disabitata, nella foce di un fiume infestato di pesci pirana. Intanto Etienne era rimasto scosso dall’Ipocrisia di coloro che credeva amici. Durante l’inchiesta era stato accusato di essere un corriere della droga e trasportarla con il suo aereo personale, eludendo i controlli doganali grazie alle potenti amicizie.

Etienne era demotivato, aveva smesso di lavorare ed era andato in Giappone per parlare con il medico che aveva praticato l’intervento nel dente del figlio. Il medico gli fece la confidenza che il figlio era stato un eroe e che amava Dolores sopra ogni cosa. Decise di andare a trovarla. Telefonò e seppe che lei era incinta per cui si illuse che fosse figlio di Julien. Andò a Guayaquil, parlò col padre, andò ad Esmeraldas, affittò un elicottero e si fece portare alla capanna. Parlò con il nonno, ma il vecchio gli confessò che era figlio di Alex e che l’incidente in cui morì Julien era stato causato da un bacio tra Alex e Dolores.

Il nonno gli disse inoltre che lei non amava Julien, ma lo avrebbe sposato solo per evadere dalla vita di provincia. I due vecchi si strattonarono, rotolarono per terra, ma non litigavano, non ne avevano la forza. Il nonno gli disse che Dolores stava pagando a duro prezzo quella gravidanza. Etienne si avvicinò alla capanna ma lei si mise ad urlare. Lui andò via ma prima consegnò al nonno una borsa piena di soldi che aveva portato per lei.

Alex rimase da solo, il padre e la madre di Dolores erano ostili verso di lui. Gli dissero di non cercarla perché lei non voleva più vederlo, Estella si negava al telefono. Andò volontario in Malesia dove molte persone si recavano per aiutare la popolazione dagli incendi causati dal fenomeno del Niño. A settembre accadde in Malesia un incidente aereo a causa del fumo degli incendi.

Estella sapeva che c’era di mezzo il figlio di Dolores, andò a Cotacachi per parlarle, non sapeva nulla della sua fuga, la madre le disse che era fuggita e diventata pazza. Estella ragionò tutta la notte, alla fine ribaltò l’idea che aveva pensato per l’amica, adesso sarebbe stata lei a fare da “zia” a quel bambino che sarebbe nato. Prese la macchina e andò a Guayquil, parlò col padre, il quale le disse che forse era a Esmeraldas. Andò li e trovò Pablo, l’amico del nonno, il quale le disse dove si trovavano, andò fino al fiume, rubò una piroga per trovarla, si ritrovò in mezzo ai pirana, poi finalmente la vide seduta davanti alla capanna.

Finalmente si sciolsero, Dolores riuscì a parlare di nuovo, Estella la rassicurò che sarebbe tornata presto assieme ad Alex e andò via. Un paio di giorni dopo lei ed Alex andarono a prendere Dolores, ma l’Ecuador era afflitto da piogge torrenziali. Affittarono una barca a motore per andare alla capanna, ma qualche miglio a nord videro una barca arenata sulla riva. Con il cuore in gola, si avvicinarono e videro Pablo ferito, più in la c’era il nonno morto e Dolores svenuta, con il vestito intriso di sangue. Li caricarono sulla barca e li portarono in ospedale: Dolores si salvò ma il bambino morì.

Alex ed Estella erano annientati dal destino, erano di nuovo liberi, ma nel peggiore dei modi. Non sapevano ancora come avrebbero fatto a vivere in tre, volevano gioire, credere nella Speranza, ma il pensiero del domani li bloccava. Dolores, invece, cominciava ad aveva in mente solo il pensiero di farsi suora e vivere per sempre, lontano dalla vita di provincia e dalla frenesia di città, sola con la sua anima.

Qualche settimana dopo Alex dovette andare in Brasile a Manaus per una conferenza. Qui partecipò ad una escursione a Humaità, ma venne rapito dai Tupamaros che avevano un campo base nel cuore della foresta amazzonica. Passavano i giorni e la televisione ecuadoriana parlava sempre dello scienziato Alex tenuto prigioniero.

La CIA mandò un infiltrato per farlo evadere, la notte successiva scattò il blitz, “Pablo” liberò Alex e corsero verso l’elicottero che sentivano li vicino, ma uno dei Tupamaros li bloccò, si mise a lottare con Pablo a colpi di Kung Fu, ma Pablo non poteva difendersi bene perché doveva usare una mano per chiudergli la bocca e non farlo gridare, per non attirare gli altri guerriglieri.

Alla fine il guerrigliero stava per avere la meglio, ma Alex raccolse la pistola di Pablo e sparò al Tupamaros. Fuggirono verso la radura dove li attendeva l’elicottero, Alex salì sulla scaletta di corde, l’elicottero venne colpito da colpi di mitra, il pilota fu ferito ma era ancora ai comandi, Pablo venne raggiunto da un altro guerrigliero ma riuscì a liberarsi, entrò nell’elicottero e si mise ai comandi. Riuscì a spostarsi orizzontalmente, ma si rese conto che ormai stava per cadere, erano vicinissimi al suolo, disse ad Alex di saltare e, qualche centinaio di metri più in la l’elicottero si schiantò ed esplose. Alex era solo nella giungla, aveva una spalla rotta per la caduta ed era braccato dai guerriglieri.

Corse in direzione opposta alle fiamme dell’elicottero, trovò una capanna e si nascose. La mattina dopo un indios entrò nella capanna, entrambi si guardarono con sospetto, ma l’indios era pacifico. Alex telefonò ad Estella, le chiese di venire lei a salvarlo, non si fidava di nessun altro, c’erano troppi Tupamaros infiltrati nella polizia. Lei disse che sarebbe venuta al più presto, gli diede il numero del cellulare che aveva comprato qualche giorno prima e gli disse di chiamarla il giorno dopo.

Alex era pentito di aver chiesto ad Estella di venire a salvarlo, come poteva una donna sola, riuscire dove la polizia di mezzo mondo non era riuscita a trovarlo? Telefonò scusandosi di averla messa nei guai per una missione troppo difficile, ma lei lo fermò subito, era già a pochi chilometri da lui. Si diedero appuntamento vicino a un ponte. La mezzanotte era ormai vicina, lei era già sul ponte che lui le aveva indicato. Lui ringraziò l’indio che lo aveva aiutato e andò, abbracciò Estella e corsero veloci verso l’aeroporto. Raggiunsero Lima e da li in autostrada verso Quito.

L’autostrada venne chiusa al traffico, solo la polizia entrò per scortare lo scienziato che ormai era diventato un eroe nazionale, gli elicotteri sorvolavano la sua auto per proteggerla da eventuali attacchi dei terroristi, lui si addormentò per la stanchezza mentre lei guidava commossa ed appagata, con a fianco l’uomo che amava e sentendo la radio che parlava di loro due. Alex era convalescente a casa, Dolores scriveva a vari conventi per farsi suora, ma non otteneva risposta. Estella propose di fare tutti e tre il Cammino di Santiago, telefonò anche ad Etienne per dirgli che sarebbero andati a trovarlo, ma lui disse che si sarebbe unito a loro nel Cammino.

Gli dissero anche del desiderio di Dolores di farsi suora. Dolores voleva partire subito per Santiago, telefonò ad Etienne per ringraziarlo. Lui le disse che sarebbe venuto a trovarla prima che prendesse i voti. Il giorno dopo lui era solo mentre preparava la sua valigia, andò in banca, ma si sentì male, ritirò tutto ciò che aveva, chiamò Gustave, il suo fidato maggiordomo, mise i soldi in una valigia e li spedì a Dolores, poi si fece accompagnare al cimitero del Pere Lachaise e morì accanto alla tomba del figlio. Erano a fine dicembre 1997, i tre partirono per Parigi, andarono a salutare Julien e suo padre, sepolti uno a fianco all’altro, poi Dolores partì per Santiago de Compostela e i due fidanzati per Pamplona, da dove avrebbero iniziato il loro Cammino.

Era la vigilia di Natale, Pamplona era in festa. Il giorno di Natale Alex ed Estella partirono, a piedi, per Santiago. Due giorni dopo, Dolores prese i voti: la sua bramosia della vita di città ormai era sepolta, aveva scelto l’ambiente monastico. La sera di San Silvestro era quasi la mezzanotte quando uscirono dal ristorante, mentre guardavano i fuochi d’artificio, Estella cadde rovinosamente e perse i sensi, era grave, sembrava morta. Finalmente arrivò il medico, visitò Estella e rassicurò tutti, lei era solo svenuta e ... era incinta.

Quella stessa notte Dolores sognò che Estella aveva avuto una brutta caduta. Si svegliò e corse nella cappella del monastero per pregare per lei. Le apparve la Madonna e le disse che Estella stava bene ed era incinta. Estella si svegliò ed Alex le diede la bella notizia. Adesso dovevano decidere se continuare il Cammino come avrebbe voluto lei o agire con cautela come voleva lui. Intanto telefonarono a Dolores per darle la notizia, ma lei sapeva già tutto. Chiesero consiglio a lei e rispose che avrebbe chiesto alla Madonna.

Il giorno dopo Dolores telefonò ad Estella sul suo cellulare e le raccontò che il Cammino lo avevano già fatto, in sogno, su una carrozza guidata dal nonno. C’era anche Julien, Etienne e un bambino mai nato. Assieme avevano visto tutti luoghi del Cammino, le raccontò anche un paio di particolari. Le disse poi di prendere il primo treno ed arrivare in tempo per domani alle undici. La Superiora aveva detto di essere puntuali perché quell’appuntamento era stato fissato da chi può tutto. La superiora aveva detto che il loro matrimonio sarebbe stato celebrato a Santiago con ospiti di riguardo. Il giorno dopo, alle ore undici in punto, Alex ed Estella erano davanti all’altare del “Convento di Santa Lucia” assieme alla Madre Superiora, c’era anche Dolores.

Nel grande altare, il coro era stato lasciato vuoto, c’erano solamente i foglietti dei canti. Durante la funzione alcuni di quei foglietti, come per incanto, si alzarono e si aprirono, una mano invisibile li sfogliava, mentre il suono dell’organo era accompagnato da un coro di voci invisibili e dal vagito di un bambino. Ma Dolores e gli sposi conoscevano bene quelle voci. Estella ed Alex erano soddisfatti, l’anno del Niño, quello meteorologico, era ormai passato.