Per gentile concessione della scrittrice Maria Pace

Sempre la stessa domanda, però: quale dei due era il figlio divino? Romolo o Remo?

 

A giudicare dai racconti delle vicende che seguirono, pare che il favore degli storici propendesse proprio per quest’ultimo. Remo era bello, forte e coraggioso; entrambi un po’ selvaggi ed attaccabrighe, era vero, ma, a dire di Plutarco nella sua “Vita di Romolo”:

“… Romolo, però, sembrava più assennato e dotato di maggior intuito politico…” e con queste parole, diplomatiche ma assai sibilline, il grande storico riconosceva a Remo maggiori possibilità di accampare discendenze divine.

“Intuito politico” sottintendeva astuzia, diplomazia, furbizia che Romolo, peraltro, non tardò a dimostrare; Remo, invece, possedeva forza, audacia e impeto battagliero: proprio di Marte, che neppure questi tarderà a dimostrare.

Romolo acquisì i suoi talenti, probabilmente, frequentando le vicine popolazioni etrusche; le sue simpatie per la cultura etrusca è sempre stata più che evidente, soprattutto in riferimento ad una liturgia religiosa. Sono molti gli storici che asseriscono che etrusco fosse egli stesso; ne discutono ancora oggi senza mettersi d’accordo.

Non si sa. Si sa invece che etrusco fu il rito con cui fondò la città: scavò un solco con un aratro trascinato da un toro e una giovenca dal mantello immacolato, dopo aver fatto volteggiare nell’aria dodici avvoltoi, uccelli del buon augurio.

Ma torniamo alle vicende dei due fratelli che attraverso la narrazione di Dionigi, Plutarco e Livio ci arriva con qualche discordanza, sia pur di lievissima entità. Su un fattore, però, sono tutti e tre in perfetto accordo: la ripetuta ambiguità del comportamento di Romolo.

 A diciotto anni – racconta Dionigi – i due fratelli erano già a capo di una banda di pastori che non disdegnavano di venire alle mani con altri pastori della zona. Se la prendevano regolarmente con tutti, ma soprattutto con i pastori del deposto Sovrano, Numitore, le cui greggi pascolavano lungo i colli dell’Aventino.

Un giorno, continua il racconto, mentre Romolo era occupato nella cerimonia religiosa dei Lupercali, Remo si lasciò coinvolgere in una delle tante risse con i pastori dell’Aventino i quali erano riusciti a sottrargli degli armenti. Si armò e con un gruppo di pastori partì all’inseguimento, ma finì in una imboscata e con i compagni fu condotto ad Alba Longa e trascinato al cospetto di re Amulio.

All’epoca l’amministrazione della Giustizia era compito dal Sovrano, ma l’esecuzione della pena era rimandata all’offeso che in questo caso era l’ex Sovrano, ossia Numitore. E questo fece Amulio, il despota usurpatore del regno di Albalonga: consegnò i colpevoli nella mani del danneggiato.

Reati come il furto di bestiame venivano puniti con la morte.

Remo, dunque, era prigioniero di re Amulio per aver difeso gli interessi comuni, suoi e di suo fratello, mentre Romolo era tutto preso dalle celebrazioni dei Lupercali.

I Lupercali, il 15 febbraio, in onore del Fauno Luperco, era una festa agreste in cui si offrivano doni per propiziarsi i favori di Divinità campestri. Subito dopo l’offerta del sacrificio, i giovani, quasi nudi, ad eccezione delle parti intime coperte con le pelli degli animali sacrificati, si misuravano in una corsa rituale fra i campi. (continua)

Maria Pace è una ricercatrice di Antiche Etnie: Egitto, Grecia e Roma in particolare.

Ha pubblicato numerosi testi di narrativa di carattere storico, tra cui: “QUI RAMSETE,PASSO E CHIUDO”, “IL GUARDIANO DELLA SOGLIA” e il recentissimo: “IL RAIS ”.

Le storie che racconta partono sempre da FATTI VERI ed inoltre il lettore può interagire con l’Autrice tramite i suoi siti web  http://www.mariellapace.altervista.org/index.html oppure   http://www.mariapace2010.altervista.org/ , elementi che associano il suo stile letterario al VERISMO INTERATTIVO.