«Un giorno io e Silvia volevamo fare una gita di un paio di giorni a Procida. Lei mi chiese se poteva invitare anche Bae a venire con noi e io le dissi di si. La ragazza in un primo momento fu titubante, non voleva prendersi un divertimento senza il suo fidanzato ed inoltre aveva una strana paura di prendere il traghetto per andare sull’isola. «Ma le navi sono i mezzi di trasporto più sicuri!» La rassicurò Silvia stupita da quella sua avversione. Così la ragazza si fece convincere e venne con noi.

Il viaggio fu breve e, per la nostra ospite, molto eccitante. Non era abituata al fare festoso dei napoletani, per cui tutto le sembrava strano e meraviglioso. Alloggiammo in un piccolo alberghetto sull’isola e il giorno dopo, quando uscimmo per fare un po’ di shopping, al porto trovammo grande agitazione tra gli isolani. Era il 30 agosto del 2010, ci informammo se doveva accadere qualcosa di strano, visto che tutti sull’isola erano in festa e ci dissero che di li a poco sarebbe passata una nave vicinissima alla costa, che avrebbe fatto un “inchino” all’isola. Non sapevamo nulla di questa manovra e, all’inizio, non eravamo neanche interessati, per cui andammo in giro per negozi nel borgo della Corricella.

Ad un tratto, verso mezzogiorno, sentimmo dei boati, come dei colpi di cannone sparati lì, vicino al porto. La signora del negozio, dove Silvia stava provando una maglietta, sorrise soddisfatta, come se si stesse, finalmente, avverando qualcosa che aspettava con ansia. Ci fece segno di uscire dal negozio e guardare verso il mare. Nel frattempo si udirono altri colpi di mortaio, come quelli che si sparano durante le feste patronali, tre, quattro …. dieci.

In quel mentre, da dietro le alture che delimitavano il porto, ecco apparire una nave bianca ed enorme, con un grande comignolo giallo sul quale era impressa una imponente “C”. Subito rispose al saluto inviato dall’isola, con tre lunghi e potentissimi fischi di sirena. La gente si riversò sulle strade per guardare quello spettacolo veramente insolito. Quelli che potevano avere a disposizione una barca o un motoscafo, si imbarcarono per avvicinarsi alla nave che intanto aveva rallentato la sua corsa e si era avvicinata all’isola in modo impressionante.

Fu una grande emozione non solo per gli abitanti di Procida, che forse erano abituati a questi passaggi ravvicinati, ma anche per i numerosi turisti che affollavano le strade, i quali accolsero quel saluto con applausi, mentre dai negozi e dalle case erano apparsi striscioni e trombette che salutavano il loro Comandante Schettino, di Meta di Sorrento, che lì era conosciuto da tutti. Lui era l’idolo dei ragazzini, colui che riusciva a portare la sua nave davanti al porto più vicino di ogni altro, per regalare ai suoi amici di Procida e ai passeggeri della sua nave uno spettacolo indimenticabile.

Motoscafi, pescherecci, barche di ogni genere cominciarono a fischiare con le loro sirene, mentre la grande nave Concordia rispondeva con la sua grande sirena che sovrastava, di gran lunga, tutte quelle degli altri natanti. È stata una festa destinata a restare impressa negli animi e nella mente della gente, un atto d’amore ed un omaggio alla tradizione marinara che procidani e sorrentini avevano nel loro DNA.

La nave era talmente vicina al porto che sembrava si potesse toccare!», continuò Alex anche lui preso dall’eccitazione nella rievocazione di quei momenti, «Era come se la Costa Concordia, con i suoi tredici ponti ed una stazza di oltre centomila tonnellate, non fosse più in mezzo al mare, ma stesse li in piazza, in mezzo a noi. Si vedevano le persone a bordo che brindavano alla nostra salute mentre noi facevamo loro delle foto, come  per suggellare un ipotetico sposalizio tra la terra e il mare.

Io e Silvia restammo contenti e soddisfatti di quello spettacolo, mentre Bae era rimasta letteralmente entusiasta. Per la commozione aveva le lacrime agli occhi! Appena la nave era passata via, voleva subito telefonare a Park per esternargli la sua gioia, per raccontargli quello spettacolo meraviglioso a cui lei aveva assistito e che l’aveva incantata. Ma mentre stava già componendo il numero si fermò e il suo volto si fece buio, come se ci fosse qualcosa a cui non aveva pensato prima e che destava in lei delle recondite, enormi, viscerali preoccupazioni.

Ripose il cellulare e disse che in quel periodo lui stava lavorando molto e la sera andava a letto presto, per cui, visto che a causa della differenza di fuso orario, forse lo avrebbe disturbato, rimandò la telefonata al giorno successivo.

Silvia si accorse che la titubanza di Bae risiedeva in qualcosa di più profondo, la chiese se c’era qualche problema fra lei e il suo fidanzato, ma la ragazza disse che non c’era nulla, per cui rientrammo nel negozio dove mia moglie stava provando la sua maglietta, senza dar peso a quel senso di preoccupazione che si era instaurato sul volto della nostra ospite.

Naturalmente, il discorso cadde subito sulla nave da crociera che era appena passata. Vedendo che la nostra amica non era italiana, la padrona del negozio ci chiese da dove veniva e se nel suo paese le navi usassero fare “l’inchino” in questo modo. Bae capì, più dalle gesta che dalle parole, ciò che la signora aveva detto e rispose subito, naturalmente in inglese: «Non sono mai stata su una nave da crociera. Mi piacerebbe andarci!»

La signora del negozio capì benissimo ciò che la ragazza aveva detto, tuttavia preferì rispondere in dialetto, agitando le mani e gesticolando, come usano fare le donne napoletane. Forse voleva dare un senso più chiaro ed immediato alle sue parole, o comunque imprimere una forza maggiore a ciò che voleva dire.  

«Signurì, se vuie siete fidanzata, quannu ve maritate avite a fà ‘a luna di miele ‘ncoppa a ‘na cruciera! Allura sì che nun vu scurdate chiù da festa che vi fannu!» Disse la negoziante mentre la guardava divertita. E riuscì perfettamente nel suo intento! Quella luna di miele in crociera gliela fece entrare nel sangue!

Bae non solo capì perfettamente le parole della donna, pur se dette in dialetto, ma si entusiasmò a tal punto che, dalla gioia, le tremarono le gambe.

«Sarebbe una cosa meravigliosa,» esclamò senza pensarci due volte, mentre la sua mente vedeva ancora quella nave che passava lentamente sottocosta e udiva le sirene sue e di tutte le altre imbarcazioni che le erano andate incontro suonando a festa, «Vorrei tanto che la mia luna di miele fosse proprio un viaggio su quella nave, …. ma non so se riuscirò a convincere il mio fidanzato!»

In quel momento le ritornò in mente qualcosa, un grave tormento al quale in quei momenti di immensa sorpresa e meraviglia, nel vedere quella grande nave passare così vicina alla costa, non aveva più pensato. Si accorse appena in tempo che le gambe le tremavano, sbiancò in viso e girò gli occhi verso l’alto, persi nel vuoto. Sentì che stava per svenire, cominciò a barcollare, per cui si appoggiò al bancone per non scivolare a terra, chiuse gli occhi e restò ferma per qualche minuto, mentre due grandi lacrime le rigavano il volto. Silvia la afferrò saldamente e la strinse a se per soccorrerla e farle sentire la sua presenza amica.

«Che ci avete, signurì? Ho detto qualcosa che non và?» si preoccupò la donna, temendo di avere detto qualcosa di offensivo nei confronti di quella ragazza straniera. Bae fece cenno con la testa di non preoccuparsi, mentre Silvia la sorresse e le porse un fazzolettino di carta. Poi la guardò preoccupata, le accarezzò il viso e, vedendo che lei si riprendeva da quello stato di torpore nel quale, per un attimo, era sprofondata, le sussurrò: «Non ti preoccupare, se hai qualche problema, parlane con Park, lui ti vuole molto bene, vedrai che lo risolverete insieme.»

Usciti dal negozio, restammo ancora un po’ sull’isola, poi ci avviammo al porto e lì ci imbarcammo sul traghetto per Napoli, dove avevamo lasciato la macchina per fare ritorno a Roma.

Per il resto della giornata, le due donne si sforzarono di non parlare più di quell’argomento, anche se era evidente che li interessava molto entrambi. Tuttavia, in tutti i discorsi che faceva, Bae era nervosa, mostrava un continuo alternarsi di entusiasmi e di ripensamenti.

Finalmente la sera, quando eravamo ormai vicini a Ostia, era più serena, come se avesse preso la decisione di rinunciare a qualcosa, di considerarlo solo un suo capriccio. Sembrava rassegnata a non combattere per qualcosa a cui teneva molto. Poi, mentre eravamo a cena, in un ristorantino tranquillo, nei pressi della nostra città, cominciò ad aprirsi con noi e a raccontare quale era il problema che destava in lei tante preoccupazioni.