Questo brano costituisce il terzo capitolo del libro: "Il canto del pollo spennato", di Diana Sganappa. Il libro non è un romanzo (magari lo fosse!!), è essenzialmente una satira, che di ironico ha molto, ma di divertente poco, a parte la tragicommedia dei chiamati in causa in quelle pagine. Le storie che Diana racconta partono sempre da FATTI VERI ed inoltre il lettore può interagire con l’Autrice tramite il FORUM presente su questo stesso sito, elementi che associano il suo stile letterario al VERISMO INTERATTIVO, la corrente letteraria che parte dal Verismo di Giovanni Verga e lo rende Interattivo dando al lettore la possibilità di esprimere le proprie idee tramite dei commenti nella discussioni che lo riguardano.

 

"Il canto del pollo spennato" – Cap. 3

Passare da un argomento che esalta lo spirito a cose decisamente più terrene è come saltare da un trampolino e, giusto per non staccarmi troppo affrettatamente dal tema precedente, aggiungo che, per non offendere Dio e non fare peccati, bisognerebbe starsene ognuno per i fatti suoi e, come le tre scimmie: non vedere, non sentire e non parlare.

E’ una parola!

Forse alcuni Santi ci sono riusciti, ma riconosco di avere ancora molta strada da percorrere prima di raggiungere tanta perfezione.

Sono curiosa, è un difetto che ho, di cui non mi vergogno e che voglio assecondare, soprattutto quando sento il desiderio di trovare risposte capaci di svelare altri arcani, molto più vicini a noi del soprannaturale.

Non ho la pretesa di fare chiarezza su stragi di cui, dopo decenni, si discute ancora senza avere risposte logiche e accettabili; sono sicura che passeranno ancora diverse generazioni prima che se ne conoscano il senso e lo scopo.

Di fronte a certi enigmi piego la testa e penso che un osservatore paranormale la vedrebbe contornata da un’aureola decorata da punti interrogativi, in un’immagine di santità tutta in divenire.

C’è però un argomento su cui posso riflettere, immaginare l’inimmaginabile e dire tutto il bene e tutto il male del mondo; parlo del mistero più confuso e intricato che si possa immaginare: la politica italiana.

Pensando a questa “cosa”, ho in mente una folla immensa, composta da assessori, consiglieri, senatori, sindaci, governatori di regione, funzionari delle province, parlamentari, esponenti del Consiglio dei Ministri, portaborse, attivisti, segretari, consulenti e ancora e ancora; tutta gente che, alla rinfusa, si mescola e forma nella mia mente l’interminabile corteo di uno sbiadito carnevale. Questa massa invadente, dopo aver occupato le città ed essersi riversata nelle campagne, incombe sul popolo e lo ipnotizza, rendendolo stordito e confuso.

La crisi economica che il mondo sta vivendo è seria: in Italia ci sono ditte che licenziano i dipendenti e chiudono. Come conseguenza molte persone restano senza lavoro e si sta creando una situazione che, anche se non la viviamo sulla nostra pelle, ci serpeggia intorno e ci riempie di preoc-cupazione per l’avvenire.

In questa incertezza lavorativa abbiamo una consolazione: l’azienda politica, con i suoi partiti e partitini, appoggiandosi sul groppone di noi Italiani, è sempre in espansione. Guai a ricordarle che le nostre schiene sono di ossa e non d’acciaio e che non possiamo sostenere più di un certo peso! Si offende.

Chi fa delle rimostranze e descrive la situazione com’è, denunciando disonestà e sprechi, è bollato come qualunquista; ma tutta quella gente mangia, beve e vive bene a nostre spese, e cosa ci dà in cambio?

Mantenere individui che risultano di una qualsivoglia utilità collettiva, non solo si può fare, è addirittura doveroso, ma se i conti non tornano e, giorno dopo giorno, viviamo affrontando problemi sempre maggiori, è logico che cominciamo ad agitarci e a volerci scrollare il basto di dosso.

Quando c’è qualcosa che non va o viene fatta una legge che sconvolge abitudini consolidate, è normale trovare  chi dissente dall’operato del Governo ed ecco che, come giustificazione per le decisioni prese, vengono riversati su di noi complicati parallelismi tra le nostre leggi e quelle di altri Stati.

La  cosa  mi  infastidisce;  di  problemi  ne  abbiamo  in abbondanza dentro  i  nostri  confini  e  dovremmo  risolvere quelli, invece di stare a guardare cosa fanno gli altri a casa loro. Il gioco ormai è scoperto, i nostri politici spulciano da tutti gli  Stati  della  Terra  leggi  e  leggine  e  le usano  per  la convenienza  del  momento,  come  se  noi,  cittadini  beoti, potessimo essere consolati dal fatto che le decisioni che si prendono in Italia e non ci vanno bene, si prendano anche altrove.

Mi sento cittadina del mondo, sfegatatamente europeista, ma soprattutto italiana e, perché no, campanilista. Alla fine della fiera riconosco di essere una verace burina viterbese, così come, non troppo affettuosamente, ci chiamavano e forse ci chiamano ancora i nostri cugini di Roma, che probabilmente non si ricordano di quando, nel dopoguerra, accodandosi a conoscenti comuni, venivano da noi in campagna e, senza alcuna vergogna, contando sulla nostra generosità e spinti dal loro mal saziato appetito, guardandosi dal chiedere per favore, con arroganza dicevano ai nostri nonni:

Che c’avete er prosciutto? Quello bono, casareccio!

Se ricevevano una risposta affermativa, con la superiorità che dava loro il fatto di essere dell’Urbe, ordinavano:

Allora fatece ‘n panino per uno! Ah, già che ce sete … portàtece pure er vino!

Se qualcuno mi domandasse cosa c’entra il prosciutto con la politica, gli direi che c’entra e come, perché adesso che i Romani possono permettersi di comprare etti di prosciutto con tanto di etichetta firmata e non hanno più bisogno di venire da noi per procurarselo, sono tanti coloro che ogni giorno, con tasse e balzelli, ce ne chiedono una fetta e, non avendone  mai  abbastanza,  pretendono  pure  il  vino  e  ci lasciano a bocca asciutta.

Può essere blasfemo da parte mia parlare di politica; media cultura, stato sociale più basso che medio, capitale esiguo ed apparenza zero; però esisto e ragiono, quindi mi chiedo a che titolo alcuni  politici  si  arrogano  il  diritto  di parlare  a  mio nome.

Forse le frasi:

-     gran parte degli Italiani pensano,

-     gran parte degli Italiani vogliono,

-     gran parte degli Italiani dicono,

mi  escludono,  ma  quando  sono  usate  come  un  rituale, riescono a rendermi una iena.

Quando mai qualcuno si è preso il disturbo di informarsi sui miei desideri, sulle mie opinioni e sulle mie speranze?

E’ vero che votando do un mandato, ma per favore… che i politici, dopo averlo ricevuto, facciano il loro dovere e basta, senza usarmi come pretesto!

Credo che l’onore di essere arrivati in Parlamento agisca con un’influenza deleteria su alcuni di “lor signori” che, una volta seduti sugli scranni, non riescono più a ricordare che dietro ad ogni voto ricevuto ci sono progetti e necessità.

Guardandoli alla televisione e ascoltando i loro discorsi, mi chiedo se sono gente come noi o se vengono da un altro pianeta.

Hanno un’aria di superiorità e sufficienza che vorrebbe mettere il popolo in soggezione e sono riusciti a proteggersi con uno scudo invisibile: l’immunità. Possono dire e fare quello che vogliono e fanno capire a chiare note che nessuno deve mettersi di mezzo per contrastarli.

Non sono umani, è una razza non dico superiore, ma certo diversa; insomma, in comune con il popolo hanno ben poco.  

Ci accomunano le necessità fisiche? O forse il fatto che, anche se non hanno tempo per pensarci, sono mortali anche loro?

Alcuni politici hanno strane abitudini e ce ne sono alcuni, dello stesso partito, o meglio ancora della stessa coalizione, che sembrano polli usciti da una batteria; non so come, ma riescono ad esprimere tutti gli stessi concetti usando le medesime parole.

Le cose sono quattro:

1)            non hanno qualcuno che li consiglia che è meglio cambiare toni, argomenti e frasi ogni quindici giorni,

2)             pensano di convincere gli elettori col metodo del martello pneumatico,

3)      frequentano corsi mnemonici di indottrinamento,

4)         per ultimo o magari per primo motivo, credono che il popolo italiano sia totalmente composto da imbecilli.

Per fortuna, per darci qualche sussulto di novità, visto che anche tra i politici ci sono i cani sciolti, ogni tanto qualcuno esce dal branco e ci stupisce con esternazioni estemporanee.

Anche se alla lunga gli argomenti cambiano, la situazione della cosa pubblica resta sempre la stessa, le riforme vengono annunciate e poi mai fatte perché non convengono a nessuno, le infrastrutture promesse aprono cantieri che tali restano per decenni e, quelle portate a termine, vengono inaugurate in pompa magna, ma difficilmente diventano operative.

Manca il personale, c’è un deficit di tecnici e le attrezzature ed ecco che il patrio suolo è disseminato da scheletri e da fantasmi in cemento.

C’è un tema che da illo tempore è ancora di moda tra i grandi dei palazzi, si sente dire che è ora di far largo ai giovani e, sono sincera, per un attimo mi rammarico di non avere più l’età per sfruttare l’occasione promessa.

Il disappunto dura poco, mi riprendo e realizzo che, ancora una volta, saranno parole al vento.

Se ho detto che i politici sembrano marziani, mi sono dimenticata di considerare la dote umana che la politica non riesce a togliere ai suoi adepti: la fantasia.

Recentemente un politico ha promesso dei posti di lavoro ai cinquantenni disoccupati che, per essere assunti, dovranno frequentare dei corsi di formazione.

C’è un però!

Tra il tempo che ci vorrà per organizzarli, quello che passerà per frequentarli, la pausa per discutere e poi decidere dove collocare quelli che li hanno frequentati e la necessaria creazione dei posti di lavoro che certamente non ci saranno, ecco che io supererò i sessant’anni.

Temo, visto il preannunciato innalzamento dell’età pensionabile, che ci sarà un altro grande pensatore pronto ad organizzare qualcosa di simile anche per quell’età.

Non voglio vedere tutto ciò in chiave negativa, i nostri politici sono animati da buone intenzioni e quello che cercano di fare è tenerci sempre in aspettativa, in modo che, avendo cose contingenti a cui pensare, non ci affanniamo troppo nell’interessarci dei fatti loro.

Volti sempre uguali si affacciano dallo schermo televisivo e mi dicono come devo vivere, chi devo votare e come devo fare la spesa. Io li ringrazio di sentito cuore, ma se sono sopravvissuta fino ad oggi non è stato grazie ai loro consigli.

Era la fine del 2007 e alcuni politici, molto preoccupati e con una forte carica di carità cristiana, si angosciavano pensando che le famiglie con uno stipendio di 1.900 euro al mese erano sulla soglia della povertà.

Sentendo addurre questo argomento, mi sono chiesta se sanno che esistono famiglie veramente bisognose, quelle che mille euro non li hanno mai visti tutti insieme. 

Quando qualcuno ricorda ai parlamentari che oltre alla povertà esiste pure la miseria, sembrano sconvolti, annaspano come a cercare nella memoria il significato di quella parola; d’altronde, gli stipendi che percepiscono e le agevolazioni di cui godono possono essere dati loro come scusante, infatti chi troppo ha, difficilmente comprende chi ha bisogno di tutto.

Vedo i miei vecchi che, nonostante abbiano lavorato sodo per più di quarant’anni ciascuno, devono sopravvivere con meno di mille euro al mese in due.

La cosa triste è che non sono i soli: hanno una nutrita compagnia!

Capita di fare la fila in farmacia, dietro a qualche anziano che ha la necessità di comprare un farmaco non mutuabile; è avvilente vedere che, non potendoselo permettere, ci rinuncia e se ne va a testa bassa.

Sono convinta che non dovrebbero essere quelle teste canute ad abbassarsi per la rassegnazione, ma i toni saccenti di quelli che hanno il potere di rendere loro più accettabile la vita e non lo fanno.

Anche se gran parte della mia attività lavorativa si è svolta senza che mi venissero versati i contributi, a Dio piacendo e grazie al buon cuore di qualche onesto, arriverò a prendere la minima, ma non voglio pensare a come vivremo mio marito ed io con quella e con la pensione di un piccolo artigiano.

Qui potrebbe esserci chi, con la faccia furba e la voce in falsetto, insinua:

“Non avete figli, tutti i soldi che avete guadagnato, dove li avete messi?”

Logicamente non lo dirò mai, li ho sistemati troppo bene e non credo proprio che, anche impegnandomi a fondo, riuscirei a ritrovarli. Visto che “fino alla morte ogni coglion  ci arriva”, anche noi, a dispetto di tutto e di tutti, ce la faremo a raggiungere quel traguardo.

Non ho figli è vero, ma, osservando come va il mondo, non ho eccessivi rimpianti; anzi, provo un tuffo al cuore nel vedere molti ragazzi che, finite le scuole, stanno a ciondolare fuori dai bar, già vinti, come se non fossero padroni delle loro vite.

Sono giovani e pieni di energie, ma non sanno come metterle a frutto. Senza voler essere drammatica, mi sembra di vedere gli orfani della moderna società. Nessuno si occupa di loro.

Beh, credo di aver esagerato, i genitori li amano, ma sono troppo occupati e pensano di fare la loro parte soddisfacendone i desideri; sono disposti anche a fare debiti per procurare loro vestiti firmati, vacanze, tecnologia, sport e quant’altro, ma difettano nel dare tempo e ascolto.

Riguardo al lavoro, coloro che in qualsiasi settore detengono il bastone del comando, invece di aiutarli a crescere in un percorso professionale, fanno di tutto per tenerli a cuccia, per paura che possano farsi strada e, con mente e idee fresche, riescano a scalzarli dalle loro posizioni.

Le energie, e ce ne sono veramente tante sprecate, non virtuosamente incanalate, a volte vengono utilizzate dai giovani per recare danno a qualcuno, giusto così, per vedere cosa si prova ad essere vivi.

Credo che esista una forza misteriosa che appanna la mente e la volontà di coloro che, a turno, ci governano. Dicono di sapere tutto di noi, delle nostre aspirazioni e dei nostri problemi, se ciò è vero, come mai non alzano un dito per fare leggi a tutela di quelli che, votandoli, hanno reso loro un gran bel servizio?

I giovani sono il futuro, ma la società, invece di investire su di loro, se ne serve.

E’ sbagliato dire che i ragazzi di oggi sono dei “bamboccioni” inutili, la realtà è un’altra: sono una massa indispensabile per far quadrare i conti delle aziende.

Chi più di loro segue la moda? Non parlo solo di abiti, c’è la tecnologia a braccetto con altri mille orpelli. La pubblicità li invoglia, li ipnotizza e li spinge a pretendere quello che viene proposto.

Cominciano allora, in molti casi, discussioni nelle famiglie che sentono i figli chiedere, anzi pretendere, per essere alla pari con compagni che possono più di loro. In questa richiesta del più, del meglio e dell’illusorio, ci sono genitori che già faticano ad arrivare alla fine del mese e che sono costretti a dire di no, facendosi detestare.

A volte questi schiavi del marchio, laureati e senza speranze per il futuro, non ottenendo le cose che desiderano, cadono in depressione e allora, per liberarsi delle loro frustrazioni, aumentano le spese dei genitori con sedute dallo psicoterapeuta.

Non voglio fare di tutta un’erba un fascio, buona volontà, capacità e determinazione non mancano a molti figli di questa generazione e sono doti che spingono chi le possiede a farsi strada, ma la massa tende ad abbandonarsi ad una rassegnazione che uccide l’energia costruttiva e la spensieratezza cui la gioventù ha diritto.