Questo brano costituisce il secondo capitolo del romanzo: I legami spezzati, di Luisa Colombo.

Il testo è “Proprietà letteraria riservata” dell’Autore. La pubblicazione di parte di esso su questo sito è stata effettuata con il permesso dell’Autore, che ne ha inviato una copia in formato editabile all’amministratore del sito.

 

I legami spezzati - Cap. II

Adorava quella casetta in riva al mare e, quando l’aveva lasciata per emigrare in America, nel suo cuore aveva serbato il ricordo del suggestivo borgo di Fiumefreddo, dove era nato.

 

«Tranquilla mamma, non ti lascerò più.»

Guardava la madre morente tenendole stretta la mano rugosa e gracile. Sembrava così indifesa in quel letto tutto bianco, il viso emaciato e le guance incavate, il corpo esile e oramai privo di forze. La osservò mentre con una smorfia di dolore gli indicava una busta sul comodino.

Antonio la prese girandola più volte tra le mani. Un’oppressione al petto, il battito del cuore accelerato. L’aprì e, quando la lesse, sul suo viso si dipinse un’espressione di stupore, mista ad appagamento. La madre gli aveva lasciato tutto il suo patrimonio.

Ripiegò la lettera nella busta e la mise in una tasca dei pantaloni. Accarezzò dolcemente la madre sulla testa canuta, fissando quegli occhi un tempo color del mare che si stavano spegnendo per sempre.

Si sedette accanto a lei, chinò la testa sul suo grembo e fu risucchiato nel vortice dei ricordi.

Si rivide a vent’anni, il giorno in cui l’aveva affrontata.

"Ho deciso di andarmene da questo paese senza futuro. Mi sento soffocare, ho bisogno di nuove esperienze. Mi dispiace mamma, so che ti faccio soffrire, ma tornerò".

Giovanna aveva sofferto molto sapendolo lontano. Lui non aveva la grinta necessaria per affrontare le difficoltà, pensava e da allora le sue notti erano tormentate da incubi. Lo aveva invitato più volte a tornare, rimasta sola con la nipote di dieci anni. Maia aveva bisogno di una figura maschile che prendesse il posto di quel padre troppo lontano.

Michele scriveva spesso alla figlia, promettendole che presto l’avrebbe portata a vivere con lui, ma non era mai accaduto. Giovanna non l’aveva mai perdonato per quello.

Il telefono lo fece sobbalzare. «Pronto.»

«Buongiorno. Sono l’avvocato Saverio Ansaldi. Ho avvertito sua nipote delle condizioni della Signora Giovanna. Arriverà domani con il primo volo da Milano.»

«Avvocato, ha fatto bene ad avvisarmi. Sono anni che non vedo Maia e questa non è la circostanza ideale per incontrarla. Tra l’altro devo comunicarle qualcosa che non le farà piacere.»

«Sono a conoscenza del testamento. Sua madre me ne aveva accennato prima di ammalarsi. La informeremo al momento opportuno. A presto.»

Antonio indugiò per qualche istante con la cornetta tra le mani. Riabbassò il ricevitore in modo meccanico, si sedette su una sedia travolto da un ciclone di pensieri.

Non avrebbe mai immaginato di rivedere la nipote in un momento così amaro. Quando era tornato dall’America, Maia aveva quindici anni ed era una ragazzina riservata, chiusa nel suo mondo.

Antonio aveva tentato di accattivarsi la sua simpatia, facendo leva sugli interrogativi tipici di quell’età. Le aveva persino lasciato intendere che il padre avesse abbandonato la sua famiglia, vendicandosi così di quel fratello che aveva sempre invidiato. Maia gli aveva creduto.

Un colpo di tosse lo ridestò dai suoi flashback che l’avevano indotto quasi a rammaricarsi del suo atteggiamento con Maia. Dopotutto quella bambina, alla quale si era trovato suo malgrado a fare da padre, aveva influito sul suo percorso di crescita. Quando lei se n'era andata, Antonio aveva avvertito una sensazione di vuoto, come se un legame si fosse spezzato.

Tornò quindi dalla madre che aveva richiamato la sua attenzione, dopo qualche attimo accanto al telefono. Si avvicinò bisbigliandole che la nipote stava per arrivare. A quella notizia il viso di Giovanna s’illuminò e sulle sue labbra si disegnò un tenue sorriso. Non poteva morire, non prima di rivelarle la verità.

Quel pilota mi ha fatto venire quasi un infarto, pensò Maia mentre occupava un posto libero accanto al finestrino. Si era per fortuna assopita quando tra sobbalzi e fischi, il treno superò senza fermarsi la prima piccola stazione dopo la partenza.

Si rivide sullo stesso treno in direzione contraria, quando a soli vent’anni lasciava tutto per lanciarsi in una nuova avventura.

Rammentò le emozioni e i pensieri di quel viaggio: la paura dell'ignoto e, nello stesso tempo, il desiderio di allontanarsi da quel piccolo mondo che la soffocava. La nonna aveva criticato la sua decisione di trasferirsi a Milano tentando di dissuaderla, ma lei si era fissata di diventare una criminologa come la madre e il fascino della metropoli le aveva dato lo slancio per sfidare il destino.

Aveva maturato poi l'idea di cambiare cognome per voltare pagina anche formalmente. Così dopo dubbi e riflessioni si era presentata al mondo come Maia Parodi.

Una frenata improvvisa la riportò alla realtà. Osservò fuori dal finestrino e l'immutato paesaggio l’avvolse in un abbraccio. Riconobbe le verdi colline coltivate, degradanti dalle pendici dell'Etna, il cielo azzurro e la spiaggia di Marina di Cottone, con le sue acque limpide, dove da ragazza faceva il bagno. Si accorse che mancava poco alla stazione di Fiumefreddo.

Non ha senso pensare al passato: potrei anche arrivare troppo tardi per rivedere la nonna, pensò avvolta da un senso d’angoscia.

Avvistate le bianche casette e i vicoli stretti, illuminati delle calde luci del tramonto, sentì un tuffo al cuore. Era tale e quale a prima, quasi che l’orologio del tempo avesse smesso di scandire il suo ritmo.

Si fermò per qualche minuto di fronte al patio della villetta in riva al mare, salì i gradini della scala di marmo perlato e sollevò esitante il batacchio del portone. Grondava di sudore nonostante la temperatura piuttosto rigida di gennaio.

Antonio raggiunse l’ingresso titubante.

Cosa penserà di me? Serberà ancora rancore per quello che le ho fatto?Chissà come sarà adesso?

Maia rimase sorpresa dalla figura dello zio. Se lo ricordava diverso da colui che si trovava di fronte: scialbo, barba incolta, capelli quasi bianchi con qualche ricciolo ribelle che ciondolava sugli enormi occhi nocciola. Cercò di non mostrare lo stupore ed evitò di incrociare il suo sguardo, osservando la dozzinale panchina a lato dell’ingresso che strideva con l’eleganza del portico.

«Buongiorno zio.»

Antonio osservò la nipote come se la vedesse per la prima volta: una donna davvero attraente. Sulle sue guance si dipinse un diffuso rossore. Le diede il benvenuto chinandosi per prenderle il trolley.

Maia temeva di porgli quella domanda, ma alla fine si decise.

«La nonna è ...?»

«Ti sta aspettando. Entra, non restare lì sull’uscio.»

«Voglio vederla subito.»

«Certo, ti accompagno da lei.»

«Conosco la strada.»

Appoggiò con un gesto brusco lo zainetto sul tavolo della cucina e con passo elastico si avviò verso la stanza della nonna. Il cuore martellava e, quando la vide in quel letto, quasi priva di vita, avvertì un’oppressione al centro dello stomaco. Si sedette accanto a lei prendendole una mano. Giovanna aprì lentamente gli occhi e il suo viso si rasserenò. Riconobbe la voce e il volto della nipote, bello e malinconico come allora. Si sforzò di accennare un sorriso, di stringerle la mano con l’esigua forza rimasta e di dire qualcosa, ma dalle labbra non scaturì alcun suono. Maia le sorrise e con un gesto della mano la esortò a non affaticarsi.

«Buongiorno nonna. Sono contenta di rivederti. Mi sembra di essere qui da sempre, come se non me ne fossi mai andata. Ho tante cose da raccontarti, ma non devi preoccuparti sai, abbiamo tempo. Se adesso sei stanca, ti lascio riposare. Starò qui accanto a te e parleremo in un altro momento. Qualcosa è rimasto in sospeso tra noi.»

Maia osservò i lineamenti del suo viso più distesi, come se il dolore si fosse affievolito. Ancora adesso, oramai prossima alla fine, Giovanna mostrava il suo orgoglio. Non poteva andarsene, non prima di confidarle quello che le bruciava dentro come lava incandescente. Si sforzò di sollevarsi e Maia la aiutò sistemando un altro cuscino sotto il capo. Raccolse la restante energia e con voce tremante fece cenno alla nipote di avvicinarsi.

«Ti aspettavo piccola, speravo di rivederti ancora una volta prima di morire. Adesso posso andarmene tranquilla. Sei molto bella, ma i tuoi occhi…».

«Ti stai affaticando troppo, non devi dirmi tutto adesso, rimarrò un po’di tempo con te.»

«Non c’è più tempo.»

«Hai così fretta di lasciarmi, adesso che sono tornata?»

«Lo sai che…».

Maia portò il dito indice sulla punta del naso con una smorfia ridicola.

«Come stai bambina mia?»

Maia non si aspettava parole tanto affettuose. Ebbe l’impressione che la nonna volesse recuperare il loro rapporto, forse pentita di non averla amata come meritasse.

«Sto bene. Avrei voluto venire a trovarti, ma il lavoro non mi lascia un attimo di tempo. Però ti ho pensata spesso», le rispose asciugando furtiva una piccola lacrima.

«So che mi hai voluto bene, anche se te ne sei andata in quel modo. Anch’io ho sbagliato: non ti ho mai fatto capire che ti amavo. Volevo proteggerti e invece…».

Respirava a fatica e il battito era sempre più debole, ma quello che custodiva nel cuore le diede energia.

Maia la osservò preoccupata temendo che quello sforzo le potesse essere fatale.

«È meglio se adesso ti riposi. Parlare ti stanca e…».

Giovanna non le diede la possibilità di terminare la frase.

«Ho aspettato quindici anni per rivedere il tuo viso. Se fossi stata diversa con te forse…».

«Non sarebbe cambiato nulla. Sono andata via perché sognavo una vita migliore, lontana da ricordi dolorosi.»

«Avevi bisogno di amore, quello che io non ti ho saputo dare.»

«A modo tuo l'hai fatto. Sono stata io a non capirlo, forse per orgoglio. Tra di noi c’è un legame che non si spezzerà mai.»

Giovanna, indebolita dalle emozioni, emise un debole sospiro mentre una lacrima si fece strada dai suoi occhi semichiusi. Maia si alzò di scatto.

La nonna le sorrise, stringendo con le fragili dita le candide lenzuola.

«Non è ancora l’ora. Vorrei morire sapendoti felice», le confidò con uno spasmo.

«Sta tranquilla, va tutto bene adesso.»

«I tuoi occhi dicono altro», le sussurrò mentre le immagini del passato scorrevano nella sua mente come un film al rallentatore. La rivide mentre rincorreva i gabbiani sulla spiaggia e le sembrava serena, ma i suoi occhi anche allora tradivano malinconia.

Maia percepì un brivido lungo la schiena e una profonda tristezza la avvolse come un’impalpabile nebbia. In quel momento avvertì una mano tremante posarsi sulla testa.

Quel gesto impensato la proiettò in un'altra dimensione, fuori dal tempo.

Se ne stava abbracciata al robusto tronco dell'ulivo nel giardino della nonna, l'unico che capiva il dramma di una bambina rimasta sola a dieci anni.

Perché il papà non viene a prendermi? La mamma mi aveva detto che sarebbe tornato e invece non è ancora venuto. Forse non verrà mai, perché la nonna è arrabbiata con lui. È così, vero? Lei non mi vuole bene, mi sgrida sempre e non mi fa mai una carezza.

«Vieni subito dentro, è ora di cena», l'ammonì con fermezza la nonna affacciandosi sulla porta.

Lei non rispose e rimase lì, con le manine aggrappate al fusto nodoso, come per proteggersi. Appoggiò il viso sulla spessa corteccia, ascoltò il soffio del vento che giocava con le foglie argentate.

All'improvviso una mano robusta le strinse con forza il braccio per separarla da lui.

Avrebbe voluto resistere, ma si lasciò portare via, mentre le lacrime rotolavano lungo le guance, fino alla bocca. Sapevano di mare.

 

Un fremito la trasportò al presente. La nonna si era addormentata. Rimase lì accanto tenendole la mano e le sembrò di sentire ancora il sapore della salsedine.

Quella notte ebbe un oscuro presagio e rimase accanto alla nonna, sulla poltrona. Voleva essere presente quando sarebbe giunta l’ora.

La mattina successiva Giovanna incrociò lo sguardo della nipote. Maia intravide un barlume nei suoi occhi spenti, l’ultimo guizzo della fiamma che la teneva in vita. Giovanna si sforzò di parlarle, poiché non poteva più attendere. Maia si sedette sul letto accostando l’orecchio alle sue labbra. La voce era flebile e incerta.

«Tuo padre… non ha...».

«Cosa stai cercando di dirmi?»

Antonio, quando vide la nipote accanto alla madre, la fulminò con lo sguardo. Scrollò il capo e un ciuffo di capelli gli ricadde sulla fronte, ma non fece alcun gesto per scostarlo. Anche lui si avvicinò alla madre e prese una mano tra le sue, mentre gli occhi s’inumidirono.

Pur a malincuore lasciò che la nipote ascoltasse le parole che Giovanna stava farfugliando.

« La verità.. tuo padre non è… devi cercarlo.»

Non riuscì a terminare la frase. I suoi occhi si chiusero per sempre.

Maia l’abbracciò e pianse come una bambina.

Le ultime parole risuonavano nella sua mente, con una eco di mistero. Avrebbe voluto saper ascoltare quanto nascosto nei suoi silenzi molto tempo prima. Ora l’aveva persa per sempre.

Cosa dovrei sapere? Devo cercare mio padre. Dove? E come? Nonna perché non me l’hai detto prima!