Alfio Giuffrida – Recensione libro:  “Catania” di Fulvio Mazza

CATANIA, più che un libro, è un resoconto di storia, cultura ed economia, curato da Fulvio Mazza ed edito da Rubbettino nel 2008.

Catania è anche la “mia” città dove ho vissuto dai 10 ai 25 anni, per cui la sua gente e il suo territorio hanno contribuito molto a formare il mio carattere e temprare la mia personalità. Ad essa devo quindi molto ed è per questo che mi sta particolarmente a cuore.

Il testo è stato scritto da numerosi professori universitari e studiosi nelle varie materie di cui tratta.

Ad esempio, giusto per dare un’idea dell’autorevolezza dell’opera, la parte prima, comprendente le origini, la città medioevale, la nobiltà virtuosa e l’ottocento, è stata scritta sotto la direzione di Enrico Iachello, preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Catania, mentre per la parte seconda, che tratta principalmente la politica e l’amministrazione nell’età contemporanea, il profilo socioeconomico del novecento e una appendice statistica in cui sono riassunte, in cifre, le caratteristiche salienti della città, si è interessato Fausto Cozzetto, noto storico dell’Università della Calabria. Il tutto è stato coordinato da Fulvio Mazza, direttore dell’Agenzia letteraria “Bottega editoriale” che qui compare, però, come storico (ma è anche l’ideatore di tutta una collana di pubblicazioni dedicate a varie città italiane). Fra gli altri autori ricordiamo Concetta Molè (Storia antica), Benedetto Clausi e Vincenza Milazzo (Storia medievale), Alfio Signorelli (Storia risorgimentale), Rita Palidda (Storia economica contemporanea).

Particolare cura è data alla descrizione delle origini, quando la città è stata fondata da coloni greci calcidesi, con il nome di Katane, attorno al 729 o 728 avanti Cristo. Ne resto dell’opera sono descritti episodi, documentati dati economici e demografici, con riferimenti culturali sull’evolversi della situazione storica della città e di tutta la Sicilia. Il tutto meticolosamente corredato da precisi riferimenti bibliografici.

A tutti coloro che hanno l’interesse di conoscere la storia di questa città ne consiglio quindi la lettura, del resto il libro si trova facilmente nelle librerie.

Qui riporto solo qualche curiosità, ovvero, in accordo con la nuova corrente letteraria del “Verismo Interattivo(descritto su http://www.bottegaeditoriale.it/questionidieditoria.asp?id=192 ), di cui sono promotore, degli accenni a qualche fatto vero, che collego a una discussione più generale, lasciando al lettore la possibilità di approfondire gli argomenti di maggiore interesse nei principali “forum” che si trovano in rete.

Nel libro spesso si parla di Mascalucia, il paese dove sono nato, a metà strada tra Catania e l’Etna. Vi si legge che esso era uno dei “casali” che ruotavano attorno alla città e che venivano comprati o venduti forse in modo simile a come oggi si fa con gli appartamenti. In realtà il meccanismo degli acquisti era regolato dal complesso gioco di poteri che, dalla caduta dell’Impero Romano fino all’avvento del Rinascimento, regolava la potenza dei principi e dei loro vassalli. E l’importanza di un casale era proporzionale ai loro “fuochi”, dove il termine fuoco indicava, dal Medioevo fino ai primi dell'800, la singola unità familiare soggetta a fiscalità; in particolare su esso si basava la tassa personale detta focatico. Vi si legge testualmente: “La vendita dei casali non costituisce affatto una procedura semplice, poiché l’acquisto non è uno solo, come avviene, ad esempio, in quegli stessi anni per i casali di Cosenza acquisiti dal Granduca di Toscana, ma molti. Inoltre, la monarchia per sollecitare gli acquirenti, li munifica di titoli feudali legati ai cespiti territoriali posti in vendita”. Apprendo così che la mia cara Mascalucia, attorno all’anno 1640, è stata acquistata, assieme ad altri casali della stessa zona, dal Conte Giovanni Andrea Massa, che poi l’ha venduta ad altri feudatari minori.

Era una cosa che non sapevo e, a ben pensarci, forse l’utilità di un libro può dipendere dalle novità che ci insegna, dal fatto che ci spinge a ragionare su qualcosa cui non abbiamo mai fatto caso. Chissà quanti e quali dei miei antenati è stato quindi venduto con i soli abiti che aveva addosso da vassalli a feudatari che ne erano, o forse solamente si consideravano tali, “proprietari” non solo delle “cose”, ma anche delle persone, assieme ai loro figli e nipoti, incuranti dei loro problemi e delle loro esigenze. Certo, ai nostri tempi, la cosa sembra buffa, eppure ancor oggi diciamo che il caro “fido” che noi abbiamo in casa è “nostro” e ci sentiamo orgogliosi di ciò, come se fossimo dei benefattori verso quegli esseri viventi che invece ci chiedono poco e ci danno molto. Ho fatto un po' di filosofia spicciola? Probabilmente sì. Comunque scusatemi, chissà se un domani ci renderemo conto di quanti ragionamenti a sproposito abbiamo fatto guardando il mondo solamente dal nostro punto di vista.