Sono sopravvissuta al terzo giorno “dopo Christian” e al
mio primo di lavoro. È stata una gradita distrazione. Il
tempo si è dissolto in una nube di volti nuovi, cose da fare,
e Mr Jack Hyde. Mr Jack Hyde… mi sorride, i suoi occhi
azzurri luccicano, mentre si china sulla mia scrivania.
«Ottimo lavoro, Ana. Credo che diventeremo una grande
squadra.»
Riesco a piegare le labbra in una specie di sorriso.
«Ora me ne vado, se per te va bene» mormoro.
«Certo, sono le cinque e mezzo. Ci vediamo domani.»
«Buona serata, Jack.»
«Buona serata, Ana.»
Fuori, nell’aria del tardo pomeriggio di Seattle, faccio un
bel respiro. Non riempie affatto il vuoto che ho dentro e che
sento da sabato mattina, un buco doloroso che mi ricorda
la mia perdita. Cammino verso la fermata dell’autobus a
testa bassa, fissandomi i piedi, e rifletto sul fatto che non
ho più la mia adorata Wanda, il vecchio Maggiolino, né l’Audi.
Reprimo subito quel pensiero. No. Non pensare a lui.
Certo, posso permettermi una macchina, una bella
macchina nuova. Sospetto che sia stato più che generoso
nel compilare l’assegno, e il pensiero mi lascia l’amaro in
bocca, ma lo caccio via e cerco di tenere la mente più
ovattata e vuota possibile. Non posso pensare a lui. Non
voglio iniziare a piangere. Non qui, per la strada.
L’appartamento è vuoto. Kate mi manca, e la immagino
sdraiata su una spiaggia a Barbados mentre sorseggia un
cocktail ghiacciato. Accendo la tivù in modo che un po’ di
rumore riempia il silenzio e mi dia una parvenza di
compagnia, ma non ascolto né guardo. Mi siedo e fisso
assente il muro di mattoni. Sono vuota. Non provo altro che
dolore. Per quanto tempo riuscirò a sopportarlo?
Il suono del citofono mi fa trasalire, e il mio cuore manca
un battito. Chi può essere?
«Una consegna per Miss Steele» dice una voce
annoiata e incorporea, e la delusione mi annienta. Scendo
fiaccamente le scale e trovo un ragazzo appoggiato al
portone che mastica rumorosamente un chewing-gum,
reggendo una grande scatola. Firmo la ricevuta e porto il
pacco di sopra. È voluminoso, ma sorprendentemente
leggero. Dentro ci sono due dozzine di rose bianche a
gambo lungo e un biglietto.
Congratulazioni per il tuo primo giorno di lavoro.
Spero che sia andato tutto bene.
E grazie per l’aliante. È stato un pensiero molto carino.
Ha un posto d’onore sulla mia scrivania.
Christian
Fisso il biglietto scritto al computer, il buco nel mio petto
si espande. Senza dubbio è stata la sua assistente a
spedirlo. Probabilmente Christian non ha nemmeno visto i
fiori. Fa troppo male pensarci. Osservo le rose. Sono
bellissime e non riesco a decidermi a buttarle nella
pattumiera. Per senso del dovere, vado in cucina e cerco
un vaso.
E così si sviluppa uno schema: svegliarsi, lavorare,
piangere, dormire. Be’, cercare di dormire. Non posso
sfuggirgli neanche nei sogni. Ardenti occhi grigi, il suo
sguardo smarrito, i suoi capelli ramati, tutto mi perseguita.
E la musica… così tanta musica. Non sopporto di ascoltare
alcun tipo di musica. Sto attenta a evitarla a ogni costo.
Perfino i jingle pubblicitari mi fanno rabbrividire.
Non ho parlato con nessuno, neppure con mia madre o
Ray. Non ho la forza di perdermi in chiacchiere ora. Non
voglio saperne. Sono diventata un’isola. Una terra distrutta,
devastata, dove non cresce più niente e gli orizzonti sono
desolati. Sì, questa sono io. Posso interagire in modo
impersonale in ufficio, ma niente di più. Se parlassi con la
mamma, so che potrei spezzarmi ancora. E non è rimasto
più niente da spezzare.
Trovo difficile mangiare. Mercoledì, a pranzo, sono riuscita
a mandare giù uno yogurt ed è stata la prima cosa che ho
mangiato da venerdì. Sopravvivo grazie a una ritrovata
tolleranza per il caffellatte e per la Diet Coke. È la caffeina
che mi tiene in piedi, ma mi rende ansiosa.
Jack ha iniziato a starmi addosso. Mi irrita. Mi fa
domande personali. Che cosa vuole? Io sono gentile, ma
devo tenerlo a distanza.
Mi siedo e inizio a esaminare una pila di corrispondenza
indirizzata a lui, e questo lavoro ripetitivo è una piacevole
distrazione. Il segnale sonoro mi avverte dell’arrivo di una
mail. Controllo subito chi mi ha scritto.
“Merda.” Un messaggio di Christian. “Oh, no, non qui…
non al lavoro.”
Da: Christian Grey
A: Anastasia Steele
Data: 8 giugno 2011 14.05
Oggetto: Domani
Cara Anastasia,
perdona questa intrusione al lavoro. Spero che stia andando bene.
Hai ricevuto i miei fiori? Ho visto che domani ci sarà l’inaugurazione
della mostra del tuo amico alla galleria, e sono sicuro che non hai
avuto il tempo di comprare una macchina. La strada è lunga. Sarei
più che felice di accompagnartici io, se tu lo volessi.
Fammi sapere.
Christian Grey
Amministratore delegato, Grey Enterprises Holdings Inc.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. Mi alzo
precipitosamente dalla scrivania e scappo in bagno. La
mostra di José. Me ne ero completamente dimenticata, e
avevo promesso di andarci. “Merda, Christian ha ragione:
come arrivo fin là?”
Mi sfrego la fronte con una mano. Perché José non ha
telefonato? Ora che ci penso… perché nessuno ha
telefonato? Sono stata così distratta che non ho notato che
il mio cellulare è rimasto muto.
“Merda! Che idiota sono!” Ho lasciato impostata la
deviazione delle chiamate sul BlackBerry. Le mie
telefonate stanno arrivando a Christian… A meno che lui
non abbia buttato via il BlackBerry. Come ha fatto ad avere
la mia mail?
Sa che numero di scarpe porto. Un indirizzo di posta
elettronica non rappresenta certo un problema per lui.
Posso rivederlo? Riuscirei a sopportarlo? Voglio
rivederlo? Chiudo gli occhi e getto indietro la testa mentre
il dolore e il desiderio mi trapassano come una lancia.
Certo che voglio. .....