Questo brano costituisce parte di  un capitolo del romanzo: L'uomo dagli occhi glauchi -  di Patrizia Debicke. Il testo è “Proprietà letteraria riservata” dell’Autore. La pubblicazione di parte di esso su questo sito è stata effettuata con il permesso dell’Autore, che ne ha inviato una copia in formato editabile all’amministratore del sito.

Brano tratto dal libro - L'uomo dagli occhi glauchi -  di Patrizia Debicke van der Noot – capitolo:  Incontro di Lord Templeton con Orazio Vecellio

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Ma in quel momento uno dei bambinetti che mischiavano i colori si avvicinò frettoloso al figlio del maestro, tirandolo per la manica.

 

Lui lo guardò brutto, ma quello alzando le spalle, gli disse qualcosa sottovoce, mentre gli porgeva un bigliettino.

Orazio Vecellio lo sbirciò velocemente e l’appallottolò facendolo sparire nella manica. “La sua proposta diceva… Venga, eccellenza illustrissima, parliamone in privato! La prego” e, aprendo una porticina, sul fondo, introdusse l’ospite in una stanza di abitazione. Sedie, panche, una credenza, un tavolone appoggiato al muro e un camino acceso la facevano adatta a ricevere.

“Questa è la nostra casa” spiegò Vecellio. “Confina col laboratorio. Casa, officio e bottega” asserì scherzoso. Poi richiudendo dietro di sé, fattosi mercante: “La scena campestre sarà sua per cinquanta ducati.”

“Va bene, è cara ma… mi piace e li vale. La compro!” esclamò l’inglese di buon umore.

Il veneziano lo fissò soddisfatto, confessando con schiettezza: “L’ho tratta in inganno poco fa. Quanto gli è stato confidato da vicini di Sua Eminenza, è giusto, Lord Templeton. Avrà modo di incontrare mio padre. ”

L’inglese lo fissò interrogativo sbottando:

“Incontrare suo padre?”

“Mio padre è a Venezia. Ha fatto il viaggio con Sua Eminenza, ma in incognito. Non vuole si risappia sulla laguna. Sarebbe aggredito da mille ordinativi. E poi sarebbe costretto a incontrare la gente. E invece è stanco, molto stanco. Intende recarsi a pregare sulla tomba di nostra madre e riposare qualche giorno a Murano godendo della compagnia di Lavinia, mia sorella.”

“A Murano?”

“Sì e l’aspetta là. Forse non potrà iniziare subito il suo ritratto, ma intanto avrà modo di vederla e tracciare qualche schizzo.”

“D’accordo a Murano. Quando?”

“Non dubiti, le farò sapere” promise Orazio Vecellio. “Ma posso chiederle di mantenere il segreto?”

“Ci conti. Sarò muto come una tomba” garantì Lord Templeton scherzosamente. “Le farò avere la mia lettera di pagamento per il mio acquisto, la scena campestre, oggi stesso. Me lo faccia ricapitare nel Palazzo del Duca di Ferrara.”

Orazio Vecellio accompagnò l’inglese alla porta, lo congedò educatemente, quindi, attraversati di nuovo gli stanzoni, riaprì la porticina e chiese ad alta voce: “Padre avevi deciso altrimenti. Perché hai cambiato idea ?”

Il sublime maestro, incensato dai grandi e dai potenti di tutto il mondo, era seduto tranquillamente davanti al fuoco, 

Si voltò nel sentire la voce del figlio e, accarezzando il gatto di casa che teneva in grembo, replicò:  “Non so, è stato un impulso incontenibile. Lord Templeton mi intriga. Mi ha fissato a lungo. E’ vigile come una belva in agguato, pronta a scattare. Sono certo che sospettasse la mia presenza dietro lo spioncino dell’autoritratto, ma ha fatto finta di niente. Quell’uomo ha due volti. Lo sento lontano, lo giudico un guerriero, potrebbe essere un assassino o un angelo. Mi affascina. E’ come soffuso da un’aurea indecifrabile di melanconia. La sua espressione è intensa e misteriosa allo stesso tempo. Ma è un bell’uomo. Mi piace e gli farò il ritratto”.

“Fai bene. E poi, diversamente da tanti clienti di gran nome, sembra anche un buon pagatore” approvò il figlio da bravo mercante.    

Tiziano Vecellio non rispose, si era alzato spostandosi davanti al tavolone e stava tracciando a memoria uno schizzo del giovane inglese: in piedi, col suo ampio giubbone nero di lana finissima che non nascondeva anzi metteva in risalto la corporatura atletica. Solo la traccia di una leggera trina bianca guarniva collo e polsi della camicia e una pesante collana d’oro gli pendeva dalle spalle.

La mano sinistra era infilata in tasca, nella destra stringeva dei guanti.