Questo è un brano del romanzo “Finché morte non ci riunirà”, di Matteo Freddi. Il testo è “Proprietà letteraria riservata” dell’Autore. La pubblicazione di parte di esso su questo sito è stata effettuata con il permesso dell’Autore, che ne ha inviato una copia in formato editabile all’amministratore del sito.

Matteo Freddi - Finché morte non ci riunirà – Brano scelto dall’Autore 

«Navi in vista! Navi al largo!» urlò un uomo sulle mura. 
La notizia dell'avvistamento si propagò rapidamente in tutto il castello. Tutti i cavalieri accorsero. La Valette salì sulle mura per osservare di persona. «Buon lavoro» disse all'attenta sentinella. 

«Mio signore, mi sembra che si stiano avvicinando molto lentamente. Arriveranno non prima di una trentina di ore» riferì la vedetta.

L'alba a Malta sembrava esser diventata notte. Nessun rumore nell'aria. Il gran maestro si girò, spalle al mare, e guardò la folla. Erano giunti tutti. Compresi i comuni abitanti dell'isola rimasti volontariamente a combattere.

«Fratelli, un formidabile esercito di barbari audaci si sta avvicinando alla nostra isola. Fratelli, costoro sono i nemici di Gesù Cristo. Oggi dobbiamo difendere la nostra fede per evitare che il Corano soppianti i Vangeli. Dio ci chiede la vita, che noi abbiamo già votato al suo servizio. Beati coloro che consumeranno per primi il sacrificio.»

Un boato. Un boato assordante. Le mura quasi tremarono. Svariate voci si distinguevano a malapena nel frastuono.

«Alle mura! Il nemico ci attende!»

«Alle armi! Alle armi! Chi vuole essere il primo ad assaggiare la mia lama?»

«Muoversi! Portare altre palle da cannone.»

***

La flotta turca lentamente attraccò. Un nugolo disordinato di uomini e bandiere scesero sulla spiaggia. I corni e i tamburi suonavano all'impazzata. La Valette, sulle mura di Castel Sant'Angelo guardava la scena. Padre Gianni arrivò al suo fianco. Il cavaliere si voltò e gli chiese: «Terminata la messa?»

«Sì, capisco perché parte di voi non era presente. Pensate che attaccheranno subito?» chiese padre Gianni.

«No amico mio, devono ancora sbarcare i cannoni e montare l'accampamento» rispose il gran maestro.

«Abbiamo qualche possibilità di vittoria?»

«Vedi questa?» disse il vecchio guerriero indicando la sua armatura «noi siamo protetti da settanta chili di robusto metallo lavorato dai migliori fabbri del mondo, i milanesi. Le frecce a contatto si spezzano, un archibugio ci può ferire solo con un colpo a bruciapelo. Fendenti di spada? Devono riuscire a colpirci nelle parti scoperte, sotto le ascelle o dietro le ginocchia. Prima di ammaccarsi e farci perdere mobilità le nostre armature devono subire decine e decine se non centinaia di colpi. Tra i nostri nemici solo i giannizzeri indossano una leggera armatura. Molto inferiore alla nostra. Inoltre quasi non sanno cos'è un elmo in metallo. In testa portano solamente turbanti in tessuto. Fratello, ti garantisco che ciascuno di noi con l'aiuto del Signore, manderà all'altro mondo tanti nemici prima di esalare l'ultimo respiro.»

***

Mia amata Eleonora, mi manchi tanto.

Ho deciso che da oggi ti scriverò sempre. Per parlarti. Non e 'è alcun motivo razionale che m'invoglia a investire parte del mio tempo per farlo. Non ti rivedrò mai più. Non so dove sei. Non so se sei ancora viva. Nemmeno spedirò le mie lettere. E dove dovrei spedirle? Le terrò sempre con me. In un borsello legato alla cinta. Per ricordarti. Per amarti. Per sempre. Finché morte non ci riunirà. Esatto, hai capito bene. Non preoccuparti, probabilmente ci rivedremo molto presto in paradiso. Ora sono a Malta, insieme a Federico. Ho deciso di venir qui perché la mia vita a Messina senza dì te è terminata. Su quest'isola ricorderò meglio la tua elegante grazia perché dovrò combattere contro gli uomini che ti hanno strappato dalla mia vita. Evento fortuito? Evento Divino? No. Tutt'altro. Questa è la mia volontà.

Ora Eleonora ti saluto, devo andare a preparare la mia postazione d'artiglieria. Dobbiamo sparare più colpi possibili, A costo di romperci le ossa della schiena caricando il cannone.

In paradiso o qui. Comunque vada, a presto.  Tuo Niccolò

***

«Alle armi! Alle armi! I turchi attaccano!»

La Valette imperturbabile alzò lo sguardo verso la torre di guardia: «Rapporto!»

Il balestriere rispose continuando a urlare per esser certo di farsi capire: «Un gruppo compatto, un migliaio di nemici avanza munito di rampini e scale d'assedio.»

Tutti erano pronti. II gran maestro fece chiamare il prode Fernando, capitano dell'unità di cavalleria più potente ed esperta dei Cavalieri di Malta.

«Fernando, i turchi impazienti, e probabilmente supponenti, hanno deciso di attaccare senza averci assediato nemmeno una giornata. Ebbene, ti ordino di comandare una rapida ed efficace sortita al di fuori delle mura. Facciamogli vedere che Castel Sant'Angelo non cadrà mai in una maniera simile.»

Fernando, inorgoglito e fiero di sé, radunò i suoi uomini e disse a gran voce: «Avanti miei cavalieri, volete diventare degli eroi? Questo è un momento da ricordare. Rimettiamo la nostra speranza in Dio! Affrontiamo il nemico per mettere alla prova il nostro coraggio! Impugnate la lancia e preparate la vostra anima!»

I cavalieri sui loro destrieri varcarono la soglia dall'alto portone principale del castello a passo svelto e due alla volta. Scudo agganciato al braccio sinistro. Mano destra stretta attorno all'impugnatura della lunga lancia di tre metri e mezzo. Punta affilata verso l'alto. Usciti tutti, Fernando ordinò: «Serrate i ranghi! Al galoppo.»

I cavalieri si schierarono in disciplinate file rimanendo il più vicino possibile gli uni agli altri. Le ginocchia corazzate quasi si sfioravano.

I comandanti turchi vedendo il centinaio di cavalli al galoppo avanzare verso di loro si affrettarono a impartire nuovi ordini e a far suonare i corni. Tentativo quasi inutile. Il rumore degli zoccoli e dei nitriti dominava la scena.

«Avanti! Serrate i ranghi!» urlò il capitano, che era sul lato sinistro della prima fila. «Lancia in resta! Per Malta!» e abbassò la celata.

I cavalieri inclinarono la lancia verso il basso e la bloccarono sotto l'ascella in posizione parallela al terreno, punta in avanti.

Gli stendardi garrivano al vento. Gli invasori lasciarono cadere scale e rampini e provarono a prepararsi all'impatto. Puntarono i piedi e cercarono di protendere il più possibile le loro armi.

«Caricaaa!»

Fernando trapassò due corpi in un sol colpo. Crac! La lancia si spezzò. Il suo cavallo travolse i cadaveri. Un uomo armato di lancia si avvicinò per vendicare i suoi compagni. Il cavaliere sferzò il suo animale. Lo stallone dilatò le narici. Si alzò sulle gambe posteriori. Nitrì e frantumò il naso del nemico con uno zoccolo. Tornato a quattro a zampe nella mischia il capitano guardò verso i suoi compagni d'arme. Il centro dello schieramento aveva devastato le linee avversarie. Alcuni turchi travolti violentemente dall'impatto erano volati in aria. Urlando caddero travolgendo gli uomini delle ultime file. I maltesi erano riusciti ad annientare in pochi attimi i primi sei ranghi avversari, Fernando sguainò la spada. Deciso. Parò un fendente con lo scudo. Girò il cavallo verso destra. L'aggressore cercò di colpirlo nuovamente. Fernando si mise in piedi sulle staffe: «Per Dio e la cristianità!» e mozzò il braccio dell'avversario che lanciò in aria un urlo disperato. Non era ancora finita. Un turco trafisse in pieno petto un cavallo vicino. L'animale emise un nitrito lancinante e si accasciò. L'uomo che lo cavalcava finì a terra gambe all'aria in mezzo a sei nemici. Ancora stordito per l'impatto, cercò di parare un colpo con lo scudo legato al braccio sinistro. Ci riuscì, ma ormai era accerchiato. Un soldato con la mano sinistra gli alzò la celata e lo trafisse in piena gola. Un fiotto di sangue schizzò in alto. Fernando accecato dalla rabbia si avvicinò, alzò la sua lama e mirò al collo del turco che aveva appena ucciso il suo compagno. L'avversario colto di sorpresa rimase immobile. Decapitato. La testa rotolò per terra con un tonfo secco. I musulmani vicini indietreggiarono, impauriti dalla destrezza del cavaliere. Un corno suonò in lontananza. Lala Mustafà ordinò la ritirata. I suoi uomini si voltarono e disordinatamente corsero verso l'accampamento.

«Lasciamoli fuggire miei uomini. Si rifaranno sotto. Oggi abbiamo vinto noi. Il Signore sia lodato!» disse Fernando.