Cap. 2 Etienne si prepara ad andare a Santiago

Paris c’est toujours Paris! Monsieur Etienne aveva appoggiato la sua valigia su due sedie, messe una di fronte all’altra, davanti ad una delle ampie finestre, che davano sulla Rue de la Huchette. L’aveva aperta, pensando a cosa mettere dentro, ma era ancora vuota. Era passato ormai molto tempo da quando, a prepararla, era il suo domestico, che sapeva sempre cosa potesse servirgli, a seconda del posto dove andava Monsieur.

E qualche volta la valigia era rimasta li, riempita con cura ma inutilizzata, perché il suo padrone, prima di partire, si era affacciato alla finestra del suo grande appartamento, per vedere come era il tempo, ma aveva notato qualche bella ragazza nella chiassosa via, l’aveva invitata, con le sue innate capacità di play boy, a salire a casa sua, per prendere un drink e, ... il gioco era fatto e la partenza rimandata.

E sì, chi non conosce quel piccolo isolato tra Place Saint Michel a Notre Dame, al bordo del quartiere latino di Parigi? In quella stradina, lunga un centinaio di metri, parallela alla “rive gauche” della Senna, la vita non si ferma mai. Parigini che cercano una scrittura in qualche teatro, turisti che guardano quella selva di colori, di suoni, di odori, quel brulichio continuo di persone che si muovono affascinati dalla varietà del luogo.

Un termitaio di gente di tutte le razze: uomini che cercano ragazze che ci stanno, ragazze che cercano uomini coi soldi, ed entrambi le categorie trovano sempre il partener giusto. La sera poi, la confusione aumenta: le luci variopinte dei negozi di souvenir illuminano a giorno il selciato, il serveur del ristorante greco “Meteora” fa a gara con quello della “Taverna Greca” a chi rompe più piatti davanti ai piedi degli ignari passanti, per attirare l’attenzione sulle loro specialità.

Il profumo che si spande dalla “Pizza rustica”, un vero angolo di Napoli in terra d’oltralpe, o dalla “Creperie Le Minos”, a  cui difficilmente si può restare indifferenti. E poi, per i veri buongustai, la fondue au fromage da “Chez Angelo”: duecento grammi di groviera, centocinquanta di emmenthal, un bicchiere di vino bianco, un bicchierino di Kirsch e mezza baguette un pò tostata e fatta a pezzetti piccoli, da intingere dentro. Chi l’ha provata, il giorno dopo non è riuscito a non tornarci.

Monsieur, in quel quartiere, era il Re! Lo conoscevano tutti. Anche se, da qualche mese, era scomparso dalla circolazione, i serveurs dei ristoranti sotto casa sua, spesso guardavano in alto, si indicavano a vicenda il lungo balcone ormai vuoto e scuotevano la testa. 

Etienne passeggiava, stanco, nelle stanze vuote di quella enorme casa, si soffermava davanti alla porta socchiusa della camera di Julien, poi abbassava lo sguardo e passava oltre. A volte entrava e tirava leggermente in avanti il cassetto della scrivania che, a suo tempo, era del bambino. Come a controllare che fosse effettivamente vuoto. Perchè se quel giorno fosse stato pieno, forse oggi lui non sarebbe più li, ad osservare quella stanza colma di ricordi, in mezzo alle altre, un tempo animate di vita e di lussuria ed oggi abbandonate a se stesse.

Eppure era tempo che lui si decidesse a partire, se voleva salutare Dolores, prima che i voti le impedissero, almeno per qualche tempo, di vedere gente estranea intorno a lei. Ma lui era bloccato nei movimenti, quella energia, quell’entusiasmo che lo avevano fatto correre in lungo e in largo, per molti anni, nei vari continenti di tutto il mondo, adesso era sepolta. La sua mente era piena di ricordi, ma non aveva più voglia di vivere.      
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Chissà come sarebbe stata oggi la sua vita, se quel fatidico giorno di aprile lui fosse stato in viaggio chi sa dove. Oppure se Evita non avesse più trovato quel numero di telefono, inutilizzato da anni. O ancora se il numero fosse stato cambiato, o chissà quante altre cose potevano fare andare in modo diverso le sorti del destino. E invece quel giorno lui era a casa, era solo sceso al bar per uno dei suoi soliti incontri d’affari con un amico.

Evita aveva composto il numero di telefono che aveva trovato in quella valigia persa nel tempo e dall’altra parte dell’oceano aveva risposto una voce in francese: «hello madame». Lei aveva chiesto se era lì monsieur Etienne Larousse e l’uomo all’altro capo del filo aveva riconosciuto subito quella voce, nonostante il tempo e un fiume di vicissitudini ne avessero alterato il timbro e la cadenza.

Era rimasto impacciato, non sapeva cosa era meglio dire e cosa non dire. Si era inceppato più volte ed era riuscito a dire solo frasi a metà, seppur nel suo francese elegante e raffinato.

Ma Evita non aveva capito nulla, ormai aveva perso l’abitudine a quella lingua. Poi,  sforzandosi di comporre qualche frase, con quel pò che ricordava del suo francese civettuolo e carico di maliziose gentilezze, chiese a quel brav’uomo, “se avesse avuto la possibilità di rintracciare monsieur”, di dirgli che era successo qualcosa di grave a suo figlio Julien e, “se fosse stato possibile, avrebbe gradito che lui la chiamasse al telefono”. Gli dettò il numero, scandendo le cifre in un francese che già risultava comprensibile, disse di chiamarsi Evita ed il motivo per cui lo cercava era importante ed urgente.

Appena Etienne era rientrato in casa, Gustave gli si era avvicinato con il suo solito fare impersonale e riservato: «Madame Evita ... ha cercato di lei, ha lasciato il numero a cui può richiamarla».

“Evita”, pensò subito Etienne, cercando di ricordare se, nei giorni scorsi, avesse dato il suo numero di telefono a qualche ragazza che si chiamasse così. Eppure quel nome non gli era nuovo. Guardò il prefisso internazionale, era di qualche stato dell’America del Sud. Cominciò a comporre il numero, ma nel frattempo la sua mente si mise a scavare nei ricordi e ne trovò molti. In effetti, laggiù viveva una donna che lui conosceva bene.

Era passata meno di un’ora ed il telefono di Evita squillò di nuovo. Era Etienne, da Parigi, con la voce agitata che chiedeva come mai si fosse fatta viva dopo tanto tempo, dicendo che lui l’aveva cercata migliaia di volte con insistenza ed in tutti i modi (ma non era vero, dopo che se n’era andata lui aveva fatto si e no due telefonate per sapere se il figlio era con lei, poi nulla più), che lui si era molto preoccupato non sapendo cosa ne era stato di lei e del figlio.

Evita non lo stava neanche a sentire e tagliò corto, gli disse che lei stava bene ma che il figlio era morto. Etienne stentava a capire, forse pensava che Evita gli stesse raccontando una delle sue solite bugie per spillargli un po’ di soldi. Ma lei aggiunse. «Ti sto telefonando perché forse non sai che l’unico desiderio di Julien era quello si essere sepolto accanto a Jim Morrison».

Etienne si fermò, cominciò a ricordare e a capire che era tutto vero. Una fitta di intenso dolore gli trafisse il cuore, togliendogli anche la capacità di riflettere. Per qualche minuto non disse nulla, non sentiva neppure la voce di Evita che ripeteva «hello, hello», in quel momento capì solamente di essere anche padre e di avere dei doveri, oltre al dispiacere, verso un figlio.

Poi riprese il controllo e disse ad Evita che l’indomani, a Lima, sarebbe arrivato anche lui, per portare Julien in Francia, nel posto dove lui sicuramente sarebbe voluto tornare, anche se in modo diverso e non solo per avere il suo eterno riposo. Subito dopo Etienne chiamò il Direttore artistico del suo teatro e disse che per un paio di giorni lui sarebbe stato via. Poi chiamò il pilota del suo jet personale e gli disse di fare in tutta fretta un piano di volo per Lima, lui stava già partendo per l’aeroporto, nel tempo massimo di un’ora sarebbero dovuti decollare.

Era un giorno di caos a Lima, quel 23 aprile 1997, il giorno prima il Presidente peruviano Alex Fujimori aveva dato l’ok al blitz delle forze dell’ordine per la liberazione dell’Ambasciata del Giappone. Dopo 126 giorni di inutili trattative, le teste di cuoio entrarono nell' ambasciata giapponese di Lima e fecero una strage, uccisero tutti i quattordici guerriglieri del Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru. I settantadue ostaggi che erano rimasti vennero tutti liberati, tranne uno che era rimasto ucciso per errore.

La popolazione, che prima del sequestro aveva acclamato tante volte il suo presidente, vedendo in lui l’unica persona in grado di sollevare le sorti del Perù, durante il periodo delle trattative lo aveva accusato di debolezza, era divisa tra le sue idee e quelle dei seguaci di Tupac Amaru. Quel giorno invece tutti erano dalla sua parte, la gente correva per strada, felice della liberazione.

Tuttavia, come sempre accade, in mezzo alla gente che ride, c’è sempre qualcuno che soffre. In quella stessa città, in fondo ad una corsia d’ospedale, un gruppo di persone si arrovellava vicino alla stanza dell’obitorio.  Da una parte le forze dell’ordine, che diventavano sempre più numerose, arricchendosi di ufficiali di grado sempre più elevato, che volevano capire la sequenza degli eventi. Cosa era accaduto affinché un giovane paramilitare, uno degli ex ostaggi dei terroristi, fosse stato coinvolto in un incidente così banale, in un tempo così breve dal momento della liberazione? Dall’altra parte Dolores ed Alex, praticamente cadaveri anche loro, che pur avendo assistito all’incidente di quella persona che conoscevano bene, non sapevano fornire alcuna indicazione.

Quella stessa sera, Estella era arrivata in aereo, portandosi dietro tutta la famiglia di Dolores; aveva preso un’auto a noleggio ed era giunta in ospedale.

Per tutto il mattino seguente, i parenti tentarono invano di spiegare che era stato solo un incidente e che volevano portare a Quito il corpo di Julien, per dargli una degna sepoltura. Alex e Dolores erano di pietra, continuavano a non parlare, non riuscivano a dare una spiegazione del perché di quell’incidente, che era accaduto proprio davanti ai loro occhi. Il giovane non aveva urtato nessuno, per terra non c’erano buche o sassi che potevano avergli fatto perdere l’equilibrio, non c’erano neanche tracce di frenate.

Il motivo per cui si fosse schiantato era inspiegabile. Qualcuno pensava ad un collegamento con il suo status di ex ostaggio. Forse aveva addosso qualcosa collegato ai terroristi? I gendarmi continuavano ad interrogarli, ma loro non riuscivano neanche a  piangere. Forse quella poteva essere l’unica cosa che li avrebbe veramente sbloccati.

Nel pomeriggio, una lussuosa Mercedes si fermò davanti al pronto soccorso, ne scese un signore distinto, sulla sessantina, che parlava correttamente lo spagnolo, ma con evidente accento francese. Etienne, arrivato a Lima da Parigi con il suo jet personale, dopo tre scali tecnici, dava subito l’idea di un uomo d’affari occidentale.

Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, si presentò senza alterigia, non mostrava per nulla la sicurezza e l’arroganza che solitamente lo distinguevano, non c’era fretta nei suoi gesti. Stranamente quel giorno non doveva correre da nessun’altra parte. Forse ad una attenta osservazione, era una via di mezzo tra un business man e un “Padrino”, come quello del libri di Mario Puzo per intenderci, con i gesti pacati ma autoritari, di quelli che parlavano poco ma facevano i fatti e le loro proposte non potevano essere rifiutate.

Nessuno lo conosceva in volto, ma tutti avevano sentito parlare di lui, si perché il figlio di lui parlava spesso, sicuramente più che della madre, che ancora non si era fatta viva. Monsieur chiese di Julien, ma lo sguardo andò anche in giro, per vedere se, tra i presenti, ci fosse anche Evita. Quando si trovò davanti al corpo del figlio, si commosse e perse anche quel pò che era rimasto della sua autorità e spavalderia.

Si avvicinò al capo dei poliziotti che erano presenti e chiese se ci fossero dei problemi al rilascio della salma. L’uomo in divisa gli rispose che ancora non si sapeva nulla, ma sicuramente le operazioni sarebbero state molto lunghe, visto che il defunto faceva parte degli ostaggi. Inoltre, quando era avvenuto il sequestro,  era arrivato da poco tempo in Perù e quindi la sua documentazione era ancora incompleta. Del resto il ragazzo aveva avuto un passato avventuroso e poteva avere avuto in precedenza dei rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche, tanto più che per fuggire aveva rubato una moto con estrema destrezza. Insomma il suo rilascio era tutto un grosso problema.

Etienne non si scompose, si appartò nel corridoio e con il suo telefono cellulare fece alcune telefonate in Francia, dove aveva amici importanti. Quella sera tutti restarono in ospedale, nessuno andò a dormire, nessuno fece domande.

Soprattutto Estella non chiese mai ad Alex perché lui era già a Lima, che cosa stesse facendo con Dolores, cosa sapeva della morte di Julien, quali segreti covava nel suo cuore, che non poteva dire. Già perché la sua faccia parlava da sola, la sua espressione era piena di misteri.

Anche il volto di Dolores era scuro ed impenetrabile, con la fronte corrugata da mille pieghe: una maschera grottesca appoggiata su un corpo senza vita. Tutti capivano che lei sapesse molte cose su Julien, ma non immaginavano che ci fossero dei segreti anche nei confronti di Alex. Era lei la sede dei misteri, anche il meteorologo non sapeva che, in quei giorni, a Lima, lei aveva avuto frequenti contatti con i Tupamaros. 

La mattina seguente arrivò il Capo della Polizia di Lima in persona, cercò subito “monsieur Larousse” e sforzandosi di parlare in un francese decente, gli disse che i problemi per il rilascio della salma erano tutti risolti, potevano partire quel giorno stesso. Poi, con un’aria di riservatezza, si avvicinò all’uomo d’affari e gli sussurrò, quasi fosse una richiesta, che «Naturalmente il trasporto dovrà avvenire con il suo aereo personale, così non ci saranno problemi di controlli alle persone ed alle cose. Metteremo a disposizione una piccola scorta per il corteo da quì fin sotto l’aereo, nella piazzola dell’aeroporto.».

In effetti il tono con cui pronunciò quelle parole, non lasciava dubbi che si potesse fare altrimenti, forse voleva fargli notare che la Polizia sapeva sempre tutto, anche le cose che non erano mai state dette. Etienne ricordò infatti di non avere fatto cenno a nessuno, nelle sue telefonate, che era arrivato a Lima con il suo jet privato. Tuttavia rimase impassibile a quella condizione posta dall’Ufficiale, fece un impercettibile cenno di approvazione con la testa e ringraziò, in perfetto spagnolo. Il poliziotto fece altrettanto, non dopo aver tirato un profondo sospiro di sollievo e i due si salutarono con un piccolo inchino.

In quel momento entrò in ospedale una donna un po’ svanita, con i vestiti unti ed i capelli sconvolti. Tutti si scansarono per evitare di essere strusciati, solo Etienne restò fermo senza scomporsi e, pur con un piccolo dubbio che la sua mente fosse veramente in grado di sovrapporre l’immagine di tanti anni fa con quella che aveva davanti a se, intuì subito chi potesse essere. Si avvicinò a lei e le sussurrò un nome, lei annuì e con un filo di voce sussurrò: «vedo che tu non sei cambiato affatto».

Etienne si chinò verso di lei, l’abbracciò e la baciò, e tutti capirono che lei era Evita.

Seguirono pochissime parole, poi Etienne aggiunse, «so che avrei dovuto fare molte cose prima, ma adesso posso solo chiedervi se posso avere l’onore di portarvi tutti con me a Parigi, dove già ci aspettano per i funerali di Julien. Sarete miei ospiti per il tempo necessario e sarà mia cura riportarvi a Quito appena vorrete».

Tutti accettarono volentieri, del resto ognuno di loro avrebbe voluto assistere a quei funerali e andare a Parigi sarebbe stato complesso e dispendioso, mentre la soluzione che era stata proposta era sicuramente semplice, comoda e vantaggiosa.

Il piccolo corteo si avviò verso l’aeroporto, dove li attendeva un executive poco più piccolo degli aerei di linea. La bara fu caricata dal portellone posteriore, gli altri salirono a bordo in silenzio e l’aereo partì. Fece un paio di scali tecnici e l’indomani atterrò a Parigi.

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Durante il lungo volo, Etienne fece in modo direstare un pò di tempo da solo con Evita. Lui era pervaso da mille ricordi, di momenti incantevoli e di litigate furiose, di occasioni perdute e di vite sprecate. Aveva voglia di parlare, ma la rabbia per ciò che era accaduto in quei giorni gli bloccava la voce. Venti anni fa avevano in mano l’oro e lo avevano sprecato, buttato via come fosse spazzatura inutile, di cui potersi disfare. La donna era silenziosa, forse la sua mente era offuscata da troppi barbiturici, o forse non credeva più nella vita, era demotivata, non sperava più in nessun futuro e non aveva voglia di ricordare il suo passato.

Finalmente Etienne, compiendo un immenso sforzo di volontà, riuscì a parlare: «Ricordi, quando tu e Julien siete andati ad assistere ad una esibizione dei Doors?». Evita non rispose, si scosse appena dalla posizione in cui era rannicchiata, in un angolo del divano sul lussuoso jet, aprì gli occhi e fece un piccolo cenno di approvazione con la testa. «Allora eri felice» continuò l’uomo, «Cosa ti mancava che avresti voluto? Perché sei andata via così, all’improvviso, senza un motivo?»

La donna non rispondeva, forse non aveva voglia di ritornare su certi discorsi che sarebbero sicuramente sfociati in un nuovo litigio, in ragionamenti inutili, perché i punti di vista da cui loro partivano erano troppo diversi, per poter essere riconciliati in una visione comune della vita.

La sua mente era persa in ricordi lontani, che allora sembravano il sogno che ogni donna vorrebbe realizzare, mentre erano solo il punto opposto rispetto a quella realtà in cui lei viveva da dieci anni a questa parte. Niente di più interessante rispetto a questa.

Forse non ci aveva mai pensato, ma in quel momento se ne rendeva sicuramente conto. La lussuria e la miseria erano situazioni opposte, equidistanti dalla vita serena di ogni giorno, quella che a lungo andare, dà le maggiori soddisfazioni. Pur con i piccoli e i grandi problemi di ogni giorno, con i conti della spesa da quadrare, il morbillo dei figli, l’automobile che si rompe in mezzo al traffico proprio quando ti serve con maggiore urgenza. E quei momenti di stizza si superano guardando un bimbo che ti sorride, che ti accarezza il volto, o sentendo la mano di un uomo che si posa sulla tua spalla, un gesto fatto solo per consolarti, ma che in effetti riempie il tuo cuore di tanta sicurezza.  

Julien era ancora un bambino quando, con la madre, era andato ad assistere ad una esibizione del complesso che allora andava per la maggiore, i Doors! E, come era prevedibile grazie al cognome di papà, era riuscito a salire sul palcoscenico, a sedersi alla batteria e picchiare con le bacchette su qualche tamburo, come potrebbe essere il sogno di ogni ragazzino.

Ma sul palco c’era anche Lui, Jim Morrison, “The Lizard King”, la star che tutte le ragazze di allora volevano baciare, stringere, toccare o almeno vedere e sentire cantare. Lui sapeva di essere un idolo e quando entrava in scena subiva una completa metamorfosi: la sua voce dolce diventava subito aspra e potente. I suoi movimenti dinoccolati si facevano arroganti. Il suo volto dolce e quasi fanciullesco, si trasformava in migliaia di maschere di tensione e di emozione. I suoi occhi attenti, diventavano vacui, persi nel nulla, due fuochi lontani, illuminati davanti ad un pubblico assetato di stravaganze, che voleva assistere a qualcosa di eccezionale e di estremo. Era inquieto, affascinato dal mondo dei rettili e dalla cultura sciamanica! Quando era sotto i riflettori, si sentiva anche lui uno sciamano!

Il concerto non era ancora iniziato, quando il bambino sul palco si avvicinò al “capo” e lo tirò dai pantaloni. Lui si girò e lo prese in braccio, gli mise al collo la sua chitarra e fece finta di duettare con lui, facendogli vedere il suo modo di suonare e poi dicendogli «bravo, da grande diventerai un chitarrista anche tu». « No» aveva detto Julien, «voglio fare il batterista». «E’ vero, gli aveva risposto Jim, con le bacchette sei più bravo di John, impara presto, così suoneremo assieme». Quelle parole erano rimaste impresse nella mente di Julien. Lo “sciamano” era diventato il suo idolo, il suo punto di riferimento. Per lui Jim rappresentava un fratello, un padre, una madre, anzi la somma di tutti loro, ed anche molto di più. Ma dal Maestro aveva assorbito anche la rabbia, la voglia di una vita spericolata, il suo “andare contro”. Tutto ciò che era di Jim, per Julien era un  sogno da vivere e da imitare.

Evita ricordava bene quei momenti, la sua vita dorata a Parigi, dove era appena arrivata in cerca di fortuna. Voleva fare la cantante, ma la sua voce non era un gran che. Aveva cercato mille occasioni, ma aveva ricevuto altrettanti “no!”. Finché un giorno qualcuno l’aveva presentata ad Etienne, un impresario discografico ad alto livello, ricco sfondato di soldi, che per ascoltarla meglio, l’aveva invitata a casa sua. E lei era andata, in quella casa dove c’era una festa, aveva cantato, ma aveva anche bevuto. E poi, quando tutti erano andati via, lei era rimasta li a dormire, si era fermata più giorni. Del resto lui non era rimasto sempre accanto a lei. I suoi impegni non gli permettevano di passare più di dieci giorni consecutivi nella stessa città.

Lei rimaneva da sola con Gustave, il maggiordomo, il quale non le faceva mancare nulla e la assecondava, spesso con paternale condiscendenza, nelle sue ingenue esigenze. Ma una sera, dopo una delle solite, fugaci permanenze a Parigi di Monsieur, Gustave dovette accompagnarla in clinica dove lei risultò incinta di due mesi. Era impaurita, tremava come una foglia al solo pensiero di  doverlo dire al suo importante uomo. Lui era un manager, chissà come l’avrebbe presa?

Pensò di proporgli di sposarlo, per vivere assieme una vita da sogno, nel dorato ambiente dove lui era immerso. Non si fermò a ragionare se questo fosse veramente lo scopo della sua vita, oppure il suo interesse riguardasse maggiormente le feste ed il denaro.

Anch’egli pensò che in fondo quella vita, che stavano vivendo da un paio di mesi, gli stava veramente bene: lui sempre in giro per il mondo, libero di immergersi nei suoi affari e, ad ogni suo rientro nella Capitale, lei pronta ad aspettarlo, vogliosa più che mai del suo corpo, del suo conto in banca e del suo entourage.  

Così Etienne l'aveva sposata senza riflettere sul passo che stava compiendo, ma solo perché l’aveva messa incinta. Pensava solo al fuoco delle sue vene e alla sfrenata passione che metteva quando faceva all’amore. Ma non si era neppure posto il problema se quel matrimonio fosse una cosa giusta o l’errore più grosso della sua vita. E  quando si era reso conto che Evita non era la donna adatta a lui, se mai di siffatta donna ne fosse esistita una, aveva già un figlio al collo. Ma di questo Etienne non si era mai curato e,  se  si  fosse fermato un attimo per curarsene, sarebbe stato  ancora  peggio, perché avrebbe tolto alla moglie quello che, a parte il sesso praticato fino all'esasperazione, era  il vero motivo della sua esistenza e l'unico legame che  li univa: il denaro.

Si, lui era una  macchina che produceva soldi, questo lo sapeva fare molto bene! La sua vita era sempre sotto i riflettori, sulla bocca di tutti, …. di quelle che ciascuno di noi ha sempre sognato! Aveva auto lussuose, donne a volontà, ville al mare, orologi d’oro, frequentava i migliori ristoranti di Parigi e conosceva la maggior parte degli hotel a cinque stelle in tutto il mondo. Aveva anche uno yacht e un aereo privato.

Ma la sua, era vera felicità? Forse, qualche sera in cui si era ritirato stanco nella sua suite d’albergo, assieme alla sua escort di turno, di cui quel giorno magari non aveva voglia, si era soffermato a osservare una famiglia felice che gli era passata davanti. Una madre che teneva il figlio in braccio, mentre il bambino la tempestava di domande ingenue e il padre era dietro di loro, con le buste della spesa, da cui usciva la scatola di un giocattolo.

Si! Probabilmente si era immaginato più volte in una situazione simile e ne aveva provato un po’ di invidia. Ma la sua vita correva veloce, non aveva mai trovato il tempo di fermarsi e riflettere. Chissà cosa avrebbe risposto, se un giorno il destino lo avesse bloccato in un angolo chiuso, senza vie d’uscita, costringendolo a fare un drammatico resoconto della sua vita scellerata? Come si sarebbe giustificato con il Grande Inquisitore, di non essersi mai distolto dal vizio? Quale utilità avrebbe attribuito alle sue mani, che non avevano mai accarezzato un bimbo, ma avevano solo contato tanto denaro?

Era questa la vita di Julien da bambino: aveva troppi soldi in tasca, ma una spaventosa carenza d’affetto. La sua casa era la discoteca,  il suo mondo era il gruppo di amici che gli stavano attorno, tutti più grandi di lui, loro con  le chitarre, lui con la batteria, costosissima come ogni regalo di  papà. Tuttavia non aveva una famiglia, una madre che lo accarezzasse, che si sforzasse di fargli mangiare la pappa e la sera non gli facesse mancare il bacio della buonanotte.

Del resto non aveva neanche un padre che si sedesse con lui per raccontargli la favola di Pinocchio. Lui era sempre in giro per il mondo e, in quei pochi giorni, o ore, in cui stava a casa, per il bambino era un trauma, dovendo assistere ai continui litigi che aveva con sua madre, donna capricciosa e insicura, rosa dalla gelosia e combattuta tra il desiderio  di una  vita normale, come quella di tutte le famiglie, e quella che lei stessa aveva scelto, con gli agi e la ricchezza che il lavoro del marito  potevano offrirle, ma priva di un sentimento profondo e sincero.

Quando Jim si traferì definitivamente a Parigi, Julien toccò il cielo con un dito. Finalmente poteva vederlo quando voleva, così almeno pensava lui, immergersi nel suo mondo, sostituire l’affetto che gli mancava con la frenesia dello sciamano scatenato. Ma quella vita turbinosa durò poco, si bloccò di colpo quel maledetto 3 luglio 1971. Quando Jim morì, per lui il mondo si fermò.

Non volle più vedere nessuno dei suoi amici, si rinchiuse a casa come una lumaca nel suo guscio, non riuscì a parlare del suo dramma con nessuno. Per lui il mondo non esisteva più! Pianse molto, prima in  silenzio, poi, a poco a poco, sempre più  apertamente, senza vergognarsene. Non gli  interessava  null'altro,  non aveva più punti di riferimento.

Quando la madre,